Qatar 2022

Il riscatto del portiere panchinaro: Dibu Martinez, da snobbato a campione

Dieci anni in prestito in giro per l’Europa, Russia 2018 se l’era vista da spettatore in tribuna: la rinascita di Dibu

Dibu Martinez para uno dei rigori in finale
Dibu Martinez para uno dei rigori in finale

Dibujo, a Mar del Plata come nel resto dell’Argentina, significa disegno. Chissà quante volte, stretto in quella cameretta modesta, lui li ha tratteggiati con la mente. In tv davano ogni giorno un cartone con un protagonista che gli assomigliava terribilmente: tarchiato, sorriso largo, faccia tappezzata di lentiggini. I bambini facevano la fila per radunarsi in salotto, le pupille lavorate dal getto di luce del tubo catodico. “La mia vita è un disegno” era uno degli appuntamenti più popolari quando scoccava l’ora della merenda. Così l’assonanza è servita: Damian Emiliano Martinez Romero, in fondo, è troppo lungo. Meglio Dibu: si fa prima e fa sorridere.

Lui però di motivi per allargare gli angoli della bocca non ne ha. A casa sua faticano terribilmente quando si tratta di appiccicare il pranzo con la cena. Però c’è un luccichio che sfida la sfiga: il ragazzo sa parare. Non come uno di quei pivelli del quartiere che poi si squagliano quando sale la pressione. Emi è proprio un prodigio in miniatura. Se ne accorge lesta l’Indipendiente, che lo infila in squadra senza pensarci due volte.

Lo stipendio però assomiglia ad un rimborso spese e Dibu continua a passarsela male. Finché un giorno, dalle fatiscenti tribunette del campo di allenamento, scende un uomo che ha inciso un cannone sul giubbotto. Prima confabula fitto con alcuni membri del club, poi con suo padre. Quindi gli si viene incontro con un sorriso deciso: “A quanto pare ti vogliamo all’Arsenal”. Martinez crede che sia l’incipit di un sogno impensabile e poi a Londra arriverebbe una pioggia di sterline tintinnanti, abbastanza per sostenere la sua famiglia. Solca quindi l’oceano nel 2010, appena maggiorenne, pronto a difendere i pali dei Gunners.

Andrà molto diversamente da come l’aveva immaginata. Il club non scommette mai veramente su di lui e, nel corso degli anni, Dibu si vede preferire praticamente chiunque. Prima scala secondo portiere, poi terzo. Quando va peggio, viene direttamente spedito in tribuna. Quindi inizia un tour de force di prestiti: con la maniglia della valigia sempre in pugno se ne va a spasso per l’universitaria Oxford, conosce l’acciaio duro di Sheffield e la modesta Rotherham. Ogni volta che torna alla base viene subito respinto: lo mandano al Wolverhampton, poi al Getafe – dove gioca solo sette partite – e infine al Reading.

Più che ad un disegno, la carriera di Dibu assomiglia ad un ghirigoro senza uscita. Poi un giorno del 2020 la sorte fa spallucce e decide che ne hai avuto abbastanza. Un’esistenza calcistica appannata muta in fulgido riscatto senza preavviso. Si fa male Leno, il titolare dell’Arsenal. Entra lui, che dopo dieci anni di nomadismo forzato è rimasto nel nord di Londra. Emi si prende la porta e non la lascia più. A fine stagione vince la FA Cup: vorrebbe che dopo tanto patire i suoi fossero lì a vederlo, ma il Covid li blocca in Argentina. Lui si lascia cadere in lacrime lungo il palo, poi li chiama su Face time mentre i suoi compagni festeggiano.

Un anno dopo passa all’Aston Villa, diventando il portiere argentino più pagato di sempre. A Birmingham è titolare inamovibile e le sue prestazioni entrano dentro le pupille argute della Seleccion. La nazionale, lui, l’aveva seguita ai mondiali in Russia. Era a tifare con suo fratello, sulle tribune. Poi ad un certo momento gli aveva detto una cosa precisa: “Vedi, ti prometto che al prossimo ci sarò io in campo”. Giuramento mantenuto, ma prima ancora fa in tempo a vincere la Coppa America parando tre rigori. Ieri si è ripetuto, deviandone due: dicono che sia merito di uno psicologo che l’ha rimesso in sesto quando il mondo intorno iniziava a sgretolarsi.

Così il gesto dissacrante e di cattivo gusto a fine partita è uno di quei palloni che scivolano via tra i guanti, dopo che la tensione ti ha divorato internamente. Per anni, mica per un giorno. Il riscatto di Martinez è forse più bello in quanto certamente inatteso: la sua è la formidabile correzione di un destino avverso. Un messaggio ispirante per chi si sente relegato a quel che c’è.

Il disegno non è mai definitivo.

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