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Ruggiero Rizzitelli, l’ultimo sovrano del derby della Mole

Nella stagione 1994/95, quella del primo scudetto bianconero dell’era Lippi, l’attaccante giustiziò la Vecchia Signora all’andata e soprattutto al ritorno: da allora il Toro non ha più vinto in casa della Juve

Ruggiero Rizzitelli, l’ultimo sovrano granata del derby

Le edicole torinesi sobbollono, circondate da stormi di avidi lettori. I caffè si rimpinzano di giornali. L’inchiostro inciso su quelle risme di carta recita un mantra univoco: rivincita. I calciatori della Juve, almeno, non parlano d’altro. Del resto, la sconfitta patita nel derby dell’andata è un grumo doloroso e ancora per nulla deglutito. In casa sua, questa prima lanciatissima creatura lippiana, non può perdere. Si sfregano le mani i supporter dell’attempata dama. Mugugnano quelli granata.

Qualche copia si incunea, temeraria, fin dentro lo spogliatoio del Torino. Ruggiero, occhio svelto e capelli dritti in testa, legge quelle righe di sfida a gran voce, poi appallottola il foglio quasi fosse un kleenex e lo getta via. La tracotanza altrui equivale al drappo rosso. Toro sfavorito? Una rabbia sana monta dalle viscere. "Vedremo", borbotta Rizzitelli allacciandosi gli scarpini.

Intanto lui nella contesa dell’andata ne ha già segnati due. Gli ha risposto Gianluca Vialli, ma poi Angloma ha cesellato una vittoria che ancora fermenta negli stomaci bianconeri. L’idea di ripetersi, tuttavia, pare alquanto peregrina. Quella Juventus è un tritacarne. Quando siamo al 9 di aprile dell’anno 1995, veleggia spedita verso il primo titolo dell’era Lippi. Nulla da fare per il Parma, irrimediabilmente attardato. Al Delle Alpi – sconcertante prodigio al contrario di visibilità pallonara – non ci può essere partita. Almeno così giurano giornali e giocatori. I ragazzi di Sonetti si rassegnino. Depongano le armi.

Per non lasciare adito a perplessità di sorta Marcello da Viareggio schiera l’artiglieria pesante: Roberto Baggio, Del Piero e Ravanelli in avanti. Vialli, costretto in tribuna, tartassa una radiolina di un giallo vivido per sapere cosa succede altrove. Scendendo a ritroso inciampi nei Conte, nei Paulo Sousa e nei Deschamps. Davanti a Peruzzi i Carrera ed i Ferrara, mentre sui lati svolazzano l’ex falegname Moreno Torricelli e Kohler. È l’impianto della Juve che solleverà la Champions nella notte di Roma, poco più di un anno dopo. Oggi però è un’altra storia.

Accanto a Rizzitelli c’è Abedi Pelé, cognome oltremodo ingombrante per l’onesto trequartista ghanese. In mezzo Scienza, zampillante giacimento di intuizioni. Pessotto è ancora sul lato granata. Angloma sulla corsia esterna bassa non si tocca. Pastine tra i pali. Rizzigol non indossa più la undici, come a Roma, ma la numero sette connaturata agli estrosi. È un attaccante esterno ecclettico, capace di coprire ampie porzioni del fronte offensivo. Prima del Toro non poteva definirsi un autentico cannoniere, anche se tra Cesena e Lupa ha rifilato emicranie ricorrenti alle retroguardie di turno. Non è un caso se Azeglio Vicini lo convoca giovanissimo, già durante l’allevamento romagnolo: Ruggiero diventa il primo calciatore nella storia del club a indossare la maglia azzurra.

Con i granata, comunque, diventa fertile sotto porta come mai in precedenza. Trenta obliterazioni in sessanta presenze, molte delle quali pesantissime. Come oggi. La malandrina impudenza di Ruggiero si srotola tutta nel primo tempo, come era successo all’andata. Gli spiove un pallone da centrocampo. Aggancia di coscia, mette giù e conclude di sinistro: Peruzzi la tocca, ma il Toro è davanti. Lippi mastica tabacco acidulo. Pareggia però Roby Baggio, con un piazzato insidioso che trova la deviazione di Maltagliati. Ora la Juve tenta l’affondo per dare corso alla sicumera sfoggiata sui giornali. Rizzitelli però ha altri programmi. Fuga di Angloma sulla destra, assist in mezzo e incornata del sette che sigilla il definitivo 1-2.

Il risultato non cambierà più. Ai microfoni Rai Lippi si presenta furente: “Non capisco perché a questi qua dobbiamo sempre regalare qualcosa”. Rizzitelli invece è radioso: quattro gol nei derby in un anno soltanto non sono un dimenticabile ammennicolo. Quella doppietta resta scolpita nel granito anche per quel che rappresenterà nell’infinito futuro: l’ultima volta che il Torino è riuscito ad espugnare il feudo bianconero.

Da quel giorno sono trascorsi quasi trent’anni, ma se entri in un qualsiasi caffè torinese e provi ad avanzare una tiepida richiesta, riceverai in cambio pupille dilatate e sorrisi che si allargano.

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