Il brasiliano campione d'Europa che mollò tutto per l'Ascoli

Walter Casagrande è stato un idolo dei bianconeri di Costantino Rozzi prima e del Torino di Moggi poi: un talento enorme che ha dribblato anche i problemi con le dipendenze nel post carriera

Casagrande in gol contro il Real Madrid
Casagrande in gol contro il Real Madrid
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Walter Casagrande sboccia in Brasile come certi frutti che maturano all’improvviso: dapprima sotto agli spalti pulsanti del Corinthians, poi avvolto dalla febbre del futebol paulista, dentro un calcio denso di contraddizioni e dominato dalla religione del talento. È un ragazzo enorme, eppure munito di piedi come velluto e visione larga. In patria diventa presto uno degli attaccanti più rumorosi: protegge palla come se indossasse una corazza, serve assist da enganche, segna gol che potrebbero uscire da un campetto polveroso o da una finale mondiale allo stesso tempo.

Vive immerso nella democracia corinthiana, nel Brasile delle idee che si tramutano in giocate. E lui assorbe tutto: la tecnica dei compagni, il coraggio politico dell’ambiente, la fiducia cieca della torcida. È questo bagaglio che porta con sé quando atterra in Europa. Ad aggiudicarselo è il Porto e sembra subito che con le sue doti possa spaccare il campionato lusitano. La realtà risulta più amara: Walter vive una stagione funestata dagli infortuni e affastella soltanto sei presenze in campionato. In Coppa dei Campioni le cose sembrano andare meglio. Disputa i quarti, ma poi si frattura una tibia. Diventa comunque campione d'Europa con i biancoblu. E da questa statura accetta un trasferimento che oggi noi riterremmo inconcepibile: adìos, firmo per l'Ascoli di Costantino Rozzi.

Possibile soltanto considerando che quella Serie A del 1987/88 è uno dei campionati più attrattivi del globo. Casagrande osserva i compatrioti che già si sono trasferiti immaginando di poter intraprendere lo stesso percorso, il Porto incassa 1 miliardo delle vecchie lire e tutti sono felici.

Alla presentazione al Del Duca sembra un personaggio piovuto da un qualche esotico pianeta lontano: capelli lunghi, barba irregolare, occhiali scuri, jeans consumati, tracolla di cuoio. Più un rocker in tournée che il nuovo, lineare, centravanti dell’Ascoli. Il pubblico sussurra, qualcuno arriccia il naso. Ma quando il pallone comincia a scorrere, le perplessità si dissipano. Castagner lo schiera subito accanto a Scarafoni: debutto il 13 settembre ’87, gol un mese dopo contro l’Empoli. E da lì in avanti Walter Casagrande – per tutti “Casão” – diventa un’icona bianconera: 6 reti il primo anno, 38 complessive in quattro stagioni, fino a diventare il miglior marcatore del club in Serie A insieme a Greco. Ascoli lo adotta e lui ricambia, tra duelli verbali e paci sincere con il presidente Rozzi, figura esplosiva e paterna, capace di rimproverarlo e abbracciarlo calorosamente nell'arco stessa giornata.

Nell’estate ’91 Moggi lo porta al Torino, e Mondonico lo inserisce in un gruppo destinato a lasciare il segno: Scifo, Martín Vázquez, Lentini, Bruno, Marchegiani, e pure un giovanissimo Vieri. I granata volano: terzi in campionato, luminosi in Europa. Casagrande segna 6 reti in Serie A e altre 6 in Coppa Uefa, trascinando il toro fino alla finale. Il suo capolavoro autentico erompe al Bernabéu: semifinale d’andata, Real-Toro 2-1, ma la sua zampata è una crepa nella muraglia blanca. Basta per far credere al ritorno, dove il Delle Alpi esploderà in un 2-0 memorabile. E pochi giorni dopo, nel derby, arriva una doppietta che fa tremare la Juve di Trapattoni: per Casão, brasiliano ormai granata nell’anima, una gioia quasi più intensa della notte di Madrid.

La finale contro l’Ajax sfuma di un soffio: due reti all’andata non bastano, ad Amsterdam centra anche un palo, ma la Coppa vola ai Lancieri. Resta un’altra stagione, vince la Coppa Italia, e chiude questa parentesi italiana con 19 gol in 69 presenze. Poi il ritorno in Brasile, senza più la scintilla che lo aveva acceso in Serie A.

Il dopo-calcio è un viaggio tra ombre e risalite. Flamengo, Corinthians, poi il ritiro e un vuoto che diventa voragine. Nella sua autobiografia “Casagrande e i suoi demoni” racconta con coraggio di dipendenze feroci, overdose sfiorate, notti di delirio e un incidente da cui esce vivo per miracolo.

Nel 2015 anche un infarto, affrontato come un’altra finale impossibile, ma vinta.,b

Oggi è una delle voci più schiette della TV brasiliana. In Casagrande convivono il bomber del Bernabéu e l’uomo che ha guardato negli occhi il proprio abisso. E che, nonostante tutto, è riuscito a rimanere in piedi.

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