Dal calendario Pirelli all’Eliseo «Sarò l’unico fotografo di Carlà»

Intervista a Demarchelier, per due volte autore del mitico «Cal». Giallo sui nudi «censurati» della Bruni

nostro inviato a Parigi
Le banlieue sono solo un ricordo d’infanzia. A 17 anni è fuggito da quei palazzi grigi. Erano il 1960. L’unica cosa che aveva erano i sogni e una macchina fotografica, il regalo del patrigno. «Non ci sono più tornato. Ho cancellato la periferia dalla mia vita». Patrick Demarchelier guarda le donne con occhi da bambino. Vive a New York ed è qui a Parigi solo per la sua mostra. Anni di fotografia, ritratti, donne, volti, nudi, passioni. E due calendari Pirelli, nel 2005 e uno un anno fa. Arriva al Petit Palace come uno qualunque, saluta, quasi restìo. Demarchelier a tratti resta quel ragazzino timido della periferia di Parigi. Eppure, nel museo di belle arti tutti gli scatti sono suoi. Oltre 500. Attraversare la galleria è come rispolverare il passato. Non solo top però, perché «la bellezza io la cerco in ogni cosa». E allora ci sono gli scatti alla principessa triste, c’è Diana che stringe i figli in bianco e nero, ci sono gli scatti fatti a Gianni Versace, a Robert De Niro, Julia Roberts, Meg Ryan, Madonna, Laura Bush, Bill e Hillary Clinton, Ronald Reagan, Elton John. Sono tutti vicini o quasi. Poi, in disparte, la fotografia di Carla Bruni. Lei che è stata una delle sue muse ispiratrici, ha posato per lui a luglio in uno dei primi scatti da première dame. È lì, Carla Bruni, semidistesa su una sedia, un vestito nero e casto le copre il corpo da top model, lo sguardo serio, una mano sul fianco. In una posa nobile. Elegante. Diversa da quella che anni fa la ritraeva nuda. Ma erano altri tempi. Tempi che forse ora vorrebbe dimenticare. Tanto più che è giallo su un altro nudo della moglie di Sarkò. Un ritratto senza veli con Kate Moss sarebbe presente nel catalogo ma non è in mostra.
È arrivata ieri mattina Carla a Le Petit Palace, voleva vedere la mostra, voleva rispecchiarsi, voleva salutare il suo vecchio amico, Demarchelier. Lui che molte volte ha saputo guardarla dentro e metterla in mostra. È a lui che Carla concederà lo scatto ufficiale, quello fatto a Palazzo. E Sarkozy? «Forse ci sarà anche lui, nella vita non si può mai sapere», dice Demarchelier. È il fotografo che piace alle donne perché imparano a fidarsi di lui, del suo talento, della sua semplicità, o forse semplicemente perché, come dice lui, «io la bellezza la vedo in ogni cosa».
Quale è la parte di una donna più difficile da fotografare?
«Io guardo l’insieme, cerco in ognuna di loro il particolare, il punto più bello. Lo scopro, lo immortalo. Così, semplicemente senza farmi domande».
Ricorda il primo scatto?
«Certo, il mio padrino mi regalò per il diciassettesimo compleanno la mia prima macchina fotografica, una Kodak. La mia prima foto l’ho fatta a un ponte, in Africa, quello stesso anno».
Come è iniziata la sua carriera?
«Facendo foto tessere per i documenti. Riuscivo a migliorarle usando bene la luce, quello è stato il mio inizio».
E il primo servizio di moda?
«L’ho realizzato per una rivista del Belgio che è fallita l’anno dopo. Comico non le pare?»
Un po’. Chi è un fotografo? Che occhio deve avere?
«È una persona fragile. Uno che deve rinnovarsi sempre. Ogni viaggio è un cambiamento e il passato si dimentica».
Che ricordo ha di Lady Diana?
«Molto commovente. Mi è piaciuto moltissimo lavorare con lei, con la sua spontaneità, con i bambini. È stato proprio un bel periodo».
C’è una modella che preferisce, o che le piace più delle altre?
«No, mi piacciono tutte».
Ha mai fatto una foto a una donna di cui era innamorato?
«Sì, a mia moglie».
È cresciuto nelle banlieue parigine, come sono cambiate rispetto ad allora?
«Io sono cresciuto in periferia, ma non esattamente nelle banlieue come si possono intendere oggi, io ero più un ragazzo di campagna. E ora abito a New York, e nel frattempo è passata molta, troppa, acqua sotto i ponti».
Lo scatto nella storia che ha perso?
«Non ce ne sono.

Io non ho rimpianti, fotografo solo ciò che posso vedere».
Lo scatto che vorrebbe fare?
«Al Papa, a Mandela e al Dalai Lama».
E come li fotograferebbe?
«Non so immaginarlo, devo trovarmi davanti per avere un’idea».

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