Calunnie e sospetti dopo la battaglia

Il 28 gennaio 1944 gli Alleati arrestano a Bari il generale Nicola Bellomo, con l’accusa di aver provocato nel 1941 la morte di un ufficiale inglese durante un tentativo di evasione. Bellomo è condannato a morte, nonostante sia stato scagionato da ogni responsabilità da tre inchieste nel corso degli anni. Il 28 luglio 1945 la pena capitale viene eseguita. Il fatto suscita grande scalpore, non solo per la durezza della sentenza. Infatti Bellomo, dopo l’8 settembre 1943, è stato il comandante della Piazza di Bari, e ha difeso la città dai tedeschi. Le truppe italiane (guardia di finanza, marinai, un gruppo di mitraglieri del 51º Battaglione bersaglieri, alcuni distaccamenti della difesa costiera, qualche decina di impiegati dell’amministrazione ma anche reparti della Milizia fascista passati, dopo il 25 luglio, sotto il comando del Regio Esercito) combattono eroicamente e permettono l’ingresso tranquillo dell’esercito Alleato in città. Bari, col suo porto, si rivelerà un luogo strategico, decisivo per le sorti del conflitto. Il tribunale Alleato fu spinto al verdetto, molto probabilmente, da accuse calunniose. Gli storici, finora, si sono concentrati su due ipotesi: Bellomo era ritenuto scomodo dal re e da Badoglio, che avevano abbandonato l’esercito; il comandante era inviso agli ex fascisti, che lo consideravano un traditore. Emilio Gin in un saggio in uscita sull’ultimo numero di «Nuova Rivista Storica» punta invece sulla «pista rossa».

Il Cln pugliese, probabilmente per oscurare i meriti dell’esercito nel respingere i tedeschi, calunniò il comandante più in vista. Bellomo fu dipinto come un «ex fascista» dal carattere «nevrastenico». La vicenda non convinse nemmeno corrispondenti e osservatori inglesi che giudicarono «politica» la sentenza.

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