Cambia la legge, fuori i kebab dai centri storici

Una variante fortemente voluta da Davide Boni, assessore regionale al Territorio e all’Urbanistica, che consente alle amministrazioni comunali di individuare nel Pgt (piano di governo del territorio) aree cittadine dove vietare (o consentire) attività commerciali e di ristorazione che sono «suscettibili di determinare situazioni di disagio a motivo della frequentazione costante e prolungata». I comuni definiranno cioè il corretto inserimento di tali attività nel contesto urbano e la disponibilità di aree per parcheggi. Come dire: meno kebaberie, fast food, take away e negozi etnici che, talvolta, si muovono ai confini dell’illegalità e che tra l’altro nulla hanno a che vedere con le radici storico-culturali dei centri lombardi.
La norma approvata ieri dalla Commissione V del Pirellone, chiosa Boni, salvaguardia così «i centri storici». Ma per la sinistra - malignamente parla di battaglia al grido «più polenta e meno kekab» - questa decisione di stabilire regole precise su localizzazione, orari e norme igieniche sarebbe invece «uno strumento ad uso e consumo dei vicesindaci sceriffi che potranno condurre con facilità le loro guerre contro il nemico di turno». Uscita firmata da Luciano Muhlbauer (Prc) e sottoscritta anche dal Pd. «L’aria che tira in Regione è contraria in tutto e per tutto all’antica tradizione lombarda che faceva dell’accoglienza un vanto. Quasi un carattere distintivo della generosità della nostra gente. Dopo i phone center, dopo le mosche islamiche, questi provvedimenti contro i fast food etnici nascondono una più che evidente matrice razzista» osserva Giuseppe Civati.


Inutile ribattere con i dati dell’espansione etnica diffusi dalla Camera di Commercio e con le cronache locali che sempre con maggior frequenza collegano fati di nera con strutture commerciali gestite da stranieri. Per la sinistra resta sempre e solo una «porcata». Anche se la norma «antikekab» salvaguardia pure la filosofia commerciale made in Lombardia.
GiZa

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