Per cambiare il Paese serve anche l’energia della generazione web

Non si tratta di dare fiducia ai giovani o di negargliela. Non si tratta neppure di valutare se la carica di deputato o senatore sia una responsabilità troppo pesante per chi ha appena raggiunto in termini di legge la maggior età o l’ha superata da qualche anno. La questione riguarda i modelli e gli strumenti di formazione dei giovani, da paragonare a quelli del 1948, quando, appunto, veniva scritta la Costituzione. Incominciamo dalla fiducia, poi dalla responsabilità e infine dalla formazione. Il sentimento di fiducia che ciascuno di noi comunica agli altri ha un’impronta marcatamente individuale e impossibile da generalizzare. Nella mia esperienza di insegnante ho conosciuto ragazzi coetanei che mi ispiravano fiducia nelle loro capacità, che mi facevano credere nella loro maturità, mentre a qualche mio collega gli stessi giovani apparivano superficiali, disinteressati. E con assoluta semplicità il giudizio si poteva capovolgere per altri studenti. Questo accadeva trent’anni fa: esattamente come oggi.
Veniamo alla responsabilità. Il compito di legiferare è delicatissimo e chiede esperienza. Ma lo spirito giovanile ha una carica di entusiasmo, di volontà di rinnovamento che costituisce sempre e ovunque una sferzata di energia e di freschezza di cui possono avvantaggiarsi i deputati over 60, esperti ma anche appesantiti dagli anni. Tuttavia, la questione decisiva che mi fa propendere per l’ingresso dei diciottenni in Parlamento è la profonda differenza di formazione rispetto ai loro coetanei del 1948. Intanto, è il caso di ricordare, a quel tempo si entrava nella maggior età a ventuno anni, comunque una giovinezza trascorsa all’ombra del fascismo, con una forte dipendenza da modelli educativi autoritari e un’emancipazione sessuale faticosa che limitava e irrigidiva il mondo d’esperienza. A loro volta, i padri costituenti, pur non avendo di certo ricevuto un’educazione libertaria e non avendo sviluppato una propria gioiosa emancipazione sessuale, avevano però fatto la Resistenza e questo bastava per giustificare il piedistallo su cui si erano messi per giudicare dall’alto al basso chi non avesse fatto la loro esperienza. La giovane democrazia italiana doveva necessariamente ammettere in Parlamento gli adulti che avevano trascorso i loro anni migliori durante il fascismo, ma non poteva lasciare il via libera ai ragazzotti che non avevano ancora visto niente del mondo e che avrebbero potuto perfino dare del «tu» a un collega padre costituente seduto vicino a loro in Parlamento. Rispetto a un coetaneo del ’48, un giovane d’oggi ha una formazione straordinaria, che gli arriva dalla possibilità di viaggiare, dalla televisione, da internet, da famiglie meno bigotte di un tempo e da scuole democratiche. Chi ha saputo assimilare questa mole di stimolazioni comunicative possiede un bagaglio di esperienza enorme, imparagonabile per qualità rispetto non solo ai giovani del ’48 ma anche a molti parlamentari del 2011. E questo dovrebbe far riflettere.
La modifica della Costituzione sembra un tabù inossidabile. Sarebbe importante cogliere l’occasione per paragonare il modo in cui si vive oggi rispetto a 63 anni fa. Per esempio, come si trascorreva la domenica, come si viaggiava, come ci si vestiva per andare al lavoro...

insomma, una fenomenologia della vita quotidiana ieri e oggi, che metta in luce non il «cosa» ma il «come», che racconti non il significato di quello che si faceva e si fa (sempre arbitrario e discutibile) ma semplicemente i fatti, descrivendoli. Ci si accorgerebbe di quale rinnovamento radicale avrebbe bisogno la Costituzione italiana.

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