Politica

Camere ai tempi supplementari

Un vertice tra Berlusconi, Pisanu e Letta definisce i termini per la fine della legislatura. L’opposizione: «Nessun slittamento»

Massimiliano Scafi

da Roma

Un’ora di vertice a Palazzo Grazioli con Gianni Letta e Beppe Pisanu, una trattativa già avviata con il Colle, una serie di telefonate con gli alleati. Silvio Berlusconi ha deciso: per le Camere ci saranno i tempi supplementari. Quanto dureranno? «Tecnicamente», sostiene Roberto Calderoli, «possiamo arrivare al 22 febbraio». «Costituzionalmente», aggiunge Enrico La Loggia, «c’è tempo fino al 23». Ma, politicamente, non sembra possibile che il governo possa «stirare» così a lungo la situazione. L’opposizione è contraria, il Quirinale non vuole una «campagna troppo corta» perché è cambiato il sistema elettorale e «i cittadini devono capire bene» e pure nella maggioranza c’è qualche resistenza. Dunque, «qualche giorno», come dice Sandro Bondi. Sette, forse dieci. Magari «quindici», come prevede Ignazio La Russa.
Di certo c’è l’intenzione di «sfruttare fino in fondo» la legislatura. I decreti da convertire, la legge sull’inappellabilità da rivedere dopo il rinvio alle Camere di Ciampi, la «necessità di varare alcuni provvedimenti attesi dai cittadini», come dice Bondi. Se, come ricorda Calderoli, «è il presidente della Repubblica ad avere il potere di sciogliere il Parlamento», quello invece di indire i comizi elettorali, puntualizza il coordinatore di Forza Italia, «è nelle competenze del governo, da 45 a 70 giorni». Palazzo Chigi però non intende arrivare a uno scontro totale con il capo dello Stato. Probabile quindi, fermo restando il 9 aprile come data del voto, un accordo per una settimana di extra-time. Nei prossimi giorni i tre mediatori Gifuni, Letta e Pisanu cercheranno l’intesa.
Il centrosinistra darà battaglia. «Pensiamo che non si debba fare nessuno slittamento - avverte Piero Fassino -. Berlusconi invade le televisioni e ora cerca di avere 15 giorni in più per eludere la par condicio. È la classica sensazione di chi sta per perdere le elezioni, di chi pensa che durando due settimane di più possa rovesciare il risultato». Per Massimo D’Alema «si tratta di una pretesa inaccettabile visto che non c’è nessun motivo per prolungare il lavoro del Parlamento». E per Alfonso Pecoraro Scanio «è un artificio, un trucco dell’ultima ora». Qualche dubbio nella Lega, fredda pure l’Udc. «C’è un percorso canonico per lo scioglimento delle Camere - afferma Marco Follini -. Certo si può cambiare, ma solamente a condizione che ci sia il consenso di tutti». Quanto alla par condicio, «io mi sono battuto in prima persona affinché non fossero cambiate le regole della comunicazione in prossimità delle elezioni».
Secondo La Russa «Follini sbaglia». Sbaglia, spiega, perché qui non stiamo prorogando nulla, ma stiamo anzi riducendo una chiusura che altrimenti sarebbe fortemente anticipata». E, prosegue, «la par condicio non c’entra, ci sono necessità oggettive». E secondo Calderoli «non c’è motivo per non sfruttare utilmente il limite fino al 22 febbraio, approvando provvedimenti importanti e soprattutto facendo decide alle Camere nella piena legittimità di una legge così importante come l’inappellabilità».
An sta mediando tra chi è contrario ai tempi supplementari e chi invece vuole raschiare tutto il barile. Il 22? La Russa, più realisticamente, indica il 15 febbraio. «Se la chiusura avvenisse a metà del mese prossimo - dice - procedendo a ritroso da nove aprile avremmo più di cinquanta giorni Mi pare ampiamente condivisibile.

Senza contare che nel 2001 si votò a maggio e noi questa volta più di un mese prima».

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