Politica

Il cammino di Assisi, viaggio per la semplicità

Tappe fino a 30 chilometri a piedi nei boschi, per eremi sperduti, sulle tracce di San Francesco. Si vive a contatto con la natura, la propria fatica e lo zaino sulle spalle in cui si trasporta l'essenziale

Il cammino di Assisi,  
viaggio per la semplicità

Questa avventura è adatta per chi vuole perdersi, per chi vuole respirare, per chi ha il fiuto di un cane nei boschi e per chi nei boschi non ci entra più da quando era bambino. I cammini lunghi e lenti vanno di moda adesso, la via per Santiago è ormai più frequentata dell'A1 ad agosto, ma questa è una strada per spiriti solitari. E' il cammino di Assisi, e non per forza bisogna percorrerlo se si crede in Dio e nella sopravvivenza dell'anima. Le ragioni della scelta possono essere un milione, anche se la ragione prima è forse cercare un po' di pace. Il respiro. Ma anche se si parte senza scopi religiosi si torna con qualcosa di nuovo attaccato alla pelle: una sensazione di semplicità che tutti i cammini offrono ma che un percorso francescano involontariamente trasmette più di altre esperienze.
La prima semplicità è la propria casa, che in questo cammino si porta sulle spalle. Uno zaino in cui deve essere contenuto l'essenziale: il mio pesava sei chili e mezzo. Calcolando che non ho rinunciato al computer, è stato un successo. Ogni persona che si mette in marcia porta con sè un oggetto non necessario, è come un vizio di fabbrica del camminatore: c'è chi ha la macchina fotografica professionale, chi non rinuncia al phone, chi ha bisogno di una mantella per l'acqua. Per me la cosa in più, il vizio, è stato un piccolo pc di un chilo per scrivere, per essere libera di scrivere se avessi voluto. Il vizio è una libertà, l'unica concessa da uno zaino che può condizionare il tuo viaggio e i tuoi dolori.
In questi sei chili e mezzo porti il minimo del minimo, il poco più di niente: per intraprendere un cammino di questo tipo anche la chiavetta per il collegamento a Internet pesa troppo. Il libro di narrativa, compagno di eventuali notti senza sonno, era fondamentale, ma un piccolo pensiero di rinuncia è scattato quando sulla bilancia della cucina «Qualcuno con cui correre» di David Grossman ha segnato 280 grammi. Però l'ho portato con me. E poi un sacco a pelo leggerissimo, due magliette e solo un pantaloncino, con un pantalone lungo. Un paio di scarpe da camminata e i sandali con la suola rinforzata in caso di vesciche e per la sera. Via le monete dal portafoglio, solo quattro mollette da bucato per la poca biancheria. Niente keeway, d'estate la pioggia non fa male.
In questa selezione del peso da portarsi sul corpo, una lotta per la semplicità a cui probabilmente nessuno di noi è abituato, ho compiuto un'azione che ha attirato l'attenzione di tutto lo scompartimento del treno su cui viaggiavo, il Roma-Arezzo. In questo cammino è necessario lavare a mano la propria biancheria ogni giorno. Alla stazione ho acquistato un sapone di Marsiglia. Pesava trecento grammi. L'ho tagliato a metà con una forbicina: un pezzo l'ho riposto nello zaino, l'altro l'ho lasciato nella toilette.
Un cammino non per forza va affrontato dall'inizio alla fine. Questa sarebbe la regola. Ma c'è sempre una certa debolezza quando ci si avvicina ad avventure di questo tipo. L'anno scorso ho percorso la via Francigena, da Pavia a Roma, a tratti, sempre per questo timore che fosse troppo, per una diffidenza sulle mie capacità, incertezza sulla tenuta dei muscoli, dei piedi e della testa. Della testa soprattutto: non è il corpo che spaventa, ma l'idea di allontanarsi dal mondo, di viaggiare con la casa sulle spalle, di immergersi nell'osservazione della vita, questo fa paura.
Quest'anno ho raggiunto tre compagni di viaggio a Camaldoli, in cima al paese, dopo tre tappe dall'inizio. Sono arrivata all'eremo con il pullman da Bibbiena. E Bibbiena l'ho raggiunta con un treno locale da Arezzo. Dopo quattro ore di viaggio da Roma mi sono messa in cammino da sola, intenzionata a compiere la tappa al contrario per raggiungere i miei amici che scendevano dal passo della Calla, sull'Appennino tra Emilia e Toscana.
Un cammino non si dovrebbe percorrere a rovescio, ma va bene anche questo. Quelle prime ore in salita di solitudine nel bosco fitto, con il rumore del vento che quando è forte sembra il mare, l'impossibilità di fermarsi in un posto dove se gridi è difficile che qualcuno ti senta, tra i fruscii improvvisi del bosco che si muove, sono il ricordo più intenso della mia avventura in cammino.
Da lì è iniziato un viaggio tra boscaglia e vento, eremi e croci piantate nella terra, senza copertura di campo per i cellulari, seguendo le frecce verdi del cammino di Assisi quando c'erano, altrimenti la linea bianca e rossa tracciata sugli alberi dal Cai, il club alpino italiano. Quelle strisce erano la nostra stella polare, perché questo non è un cammino organizzato, pochissimi lo percorrono, non ci sono gadget o luoghi di ristoro nel bosco, solo fonti di acqua fresca che rigenera come una pozione magica, quando hai sete e i capelli cuociono al sole.
Sembra una strada per fate a tratti questo sentiero dove il verde delle foglie dei faggi, in certi punti in cui appena filtra il sole, assorbe riflessi di smeraldo trasparente. E'un bosco per elfi quello che precede l'arrivo al santuario di Chiusi della Verna. Gli ultimi cinquecento metri della tappa si chiudono con una salita talmente ripida che bisogna puntare forte i bastoncini e stendere i polpacci per non rimanere fermi sul posto, come un'auto in panne. Qui si può anche dormire e cenare, e vedere il letto di san Francesco, una pietra levigata nel chiuso di una grotta dove solo chi si sente davvero libero può respirare bene, tanto è angusta.
In tutto il percorso si può dormire in rifugi e conventi, in camerate o cellette singole, le tappe sono dodici per chi vuole percorrerle tutte, da Dovadola ad Assisi, lungo Emilia, Toscana e Umbria. Oppure ci sono piccoli alberghi, niente è obbligatorio, ognuno fa come si sente. Le tappe arrivano fino a trenta chilometri per le più lunghe, è necessario partire sempre con un litro e mezzo d'acqua nello zaino, non fermarsi mai in salita, ma chiedere alle gambe di andare avanti fino alla cima.
Dopo tre giorni sei un cane che segue il suo naso. Quando si va a piedi bisogna saper guardare per terra, essere presenti a se stessi a ogni passo, perché puoi inciampare in qualsiasi momento, in una radice, in una buca. Devi sentire il piccolo contatto di una zanzara, di un ragno, sul tuo corpo, e mandarlo via. Ma bisogna anche guardare in avanti, per seguire le tracce, e indovinarne il percorso. E osservare intorno, in alto, alberi e cielo. Allora davvero si apprezza il proprio respiro stanco e forte, l'energia delle gambe, il modo in cui si arrotolano le nuvole, la calma di un ciliegio che sopporta le incursioni di viandanti, bambini, ladri giocherelloni. Questo cammino è pieno di ciliegi, se non si sta attenti si può fallire proprio per le ciliege! E poi c'è Sansepolcro, una cittadina che vive fino a mezzanotte anche di giovedì, dove i bambini giocano a pallone nella piazza senza che nessuno gli urli contro.
Ce ne sono tante in Italia di piazze così, di cittadine così, e anche di boschi così. Ma alla fine vai via - perché così avevi deciso, senza aver concluso il cammino naturalmente, perché il percorso arriva ad Assisi - e hai addosso quella cosa, non solo qualche puntura d'insetto. Sul pullman di ritorno ti accorgi che la semplicità te la stai portando dietro. Per un prodigio non cercato, senza averlo mai pensato, capisci cosa vuol dire lasciare tutto e spogliarsi del mondo, rimanere con quel poco più di niente che sei tu e la natura, come aveva fatto Francesco, uomo prima che Santo.

E respiri.

Commenti