Napoli - Il caffè, la sfogliatella riccia, il bagno di folla con tanto di foto dei turisti in piazza del Plebiscito. A mezzogiorno, ecco che va in scena al Gambrinus il solito rito presidenziale. Ma da qualche tempo una nuova consuetudine accompagna i ritorni del capo dello Stato nella sua città, la tirata d’orecchi alla classe politica locale. «C’è bisogno di un nuovo costume dei partiti e delle forze politiche e c’è necessità di trasparenza e di rigore. L’uso del denaro pubblico deve rispondere davvero all’interesse generale». Anche se non tutto è da buttare, «a Napoli io trovo pure tanti segni di presenza, impegno e speranza».
Parole dure, che forse faranno male a delle amministrazioni nel pieno di una tempesta giudiziaria, a un Antonio Bassolino che resiste, a una Rosetta Iervolino che prepara un maxi rimpasto di giunta cambiando sette assessori. Ma se la cornice è questa, il quadro è più vasto. Giorgio Napolitano spiega infatti di non voler alludere a nessuno in particolare, di parlare in generale, dei problemi italiani e del senso del suo messaggio di capodanno. «Napoli? Ho detto quello che ritenevo di voler dire sulla necessità di trasparenza e riforme un mese fa, quando ho incontrato gli imprenditori e ho visitato le fabbriche». Ricordiamolo, quello che disse. Era l’inizio di dicembre, l’assessore Nugnes si era appena suicidato e Napolitano chiedeva di fare «una seria riflessione sulle politiche dell’ultimo quindicennio» in Campania. «È assolutamente indispensabile - sosteneva - che cambino i comportamenti di tutti i soggetti pubblici e privati che condizionano negativamente il miglior uso, secondo l’interesse generale, delle risorse disponibili per il Mezzogiorno». Insomma «occorre mettere in discussione la qualità della politica, l’efficienza delle amministrazioni pubbliche e anche l’impegno a elevare il grado complessivo di coscienza civica».
Non che in un mese le cose siano cambiate un granché. Ma adesso il capo dello Stato preferisce allargare l’orizzonte, trasformando l’accusa in un invito a scuotersi e ad avere fiducia, come ha fatto nel messaggio di fine d’anno. «È questo il modo in cui ho ritenuto di affrontare i temi che altri mettono sotto il cappello della questione morale. Io non costruisco formule, tocco punti di sostanza cercando di guardare un po’ più avanti».
Davanti, appunto, c’è un 2009 che si preannuncia pesante. «La crisi si farà sentire molto, c’è quindi bisogno di una forte mobilitazione di tutti. La società, o meglio, ciascuno, faccia la propria parte per concorrere a una reazione vitale». Ognuno dunque, sembra di capire, faccia la sua di parte, senza travalicare. I giudici facciano i giudici e la politica raccolga l’invito di Napolitano all’unità di intenti. Una strada possibile? «Se non avessi ritenuto possibili le intese sulle riforme, non avrei pronunciato il mio discorso di capodanno. Io l’ho fatto nella convinzione che il messaggio possa essere raccolto. È chiaro, c’è bisogno di un impegno possibilmente rinnovato e possibilmente convergente dei partiti su certe necessità che sono già in agenda e per affrontare la situazione economica. Però, ripeto, le mie parole non erano dirette solo alla classe politica, ma a tutta la società. Serve uno sforzo di tutti».
Tanto più che la società mostra segni di sfiducia nei confronti dei partiti... «Questo discorso sulla fiducia - risponde il presidente - io però lo rovescerei. Nel senso che il Paese deve avere fiducia in se stesso e nelle sue capacità di riscossa». Un appello in piena sintonia con quello lanciato dal Papa durante l’Angelus di giovedì.
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