«Camper addio, ora ho una casa vera»

«La miseria rende l’uomo libero». Angelo fruga nella tasca dei pantaloni e tira fuori un mazzo di chiavi. Lo guarda ancora incredulo, prende un respiro e poi esulta: «Questa è casa mia, sono io il padrone qui». Sessantanove anni, pensionato milanese. Lo avevamo trovato a gennaio nel suo camper parcheggiato davanti alla Cardinal Ferrari dove viveva da sei anni in attesa di ricevere un alloggio popolare. Avevamo raccontato la sua storia e quella dei suoi compagni di strada. Tutti italiani, ex lavoratori, rimasti per una ragione o per l’altra senza una casa e senza il denaro sufficiente per potersi pagare un affitto. Iscritti alle liste del Comune, ci avevano detto che non riuscivano mai a scalare quella dannata graduatoria: troppo ricchi per colpa della pensione, a confronto dei nullatenenti, gli stranieri per intenderci. Ma dopo l’uscita dell’articolo, gli assistenti dell’Aler sono andati a cercare Angelo e gli hanno dato una casa.
«Eravamo andati là qualche mese prima con una copia del Giornale dicendo che ai marocchini davano le case e ai milanesi no. Qualche tempo dopo sono venuti a cercarmi. Hanno bussato al mio camper e mi hanno dato le chiavi dell’appartamento». Via Palmieri 10, scala D, piano rialzato. Un trilocale, soggiorno, camera da letto, bagno e un balconcino che dà sul retro del palazzo. «Qui ci voglio mettere un tavolo e la panca per mangiare. Là nell’angolo la televisione. Ah già, poi devo fare anche le mensole». Angelo cammina per la stanza emozionato come un bambino. Gli brillano gli occhi e quasi non ci crede che questa fortuna possa essere capitata proprio a lui. «Quando l’ho raccontato ai miei compagni, volevano venire anche loro. Ma io gli ho risposto, la casa è sacra, come la moglie. Non si tocca». Va bene, va bene. Appena finiranno i lavori in casa, farà una grande festa e li inviterà tutti a cena, promette il pensionato. Prende un paio di pinze in mano e stringe gli allacci del gas. «Li ho fatti io, cosa credi? Ho già collegato tutto».
Nella camera da letto c’è un materasso gonfiabile, quello per andare in mare. Una soluzione provvisoria, si capisce. «Ho già studiato tutto: le assi di legno sono sul balconcino. Faccio una cassapanca e poi costruisco le doghe». Il resto delle sue cose, quelle buone, sono nel solaio della sua ex casa, quella buona in via Castelbarco. Deve ancora andare e prendere tutto ciò che gli serve. E poi ci sono i vestiti che sono rimasti là davanti alla Cardinal Ferrari, nel camper, stipati fra il cruscotto e un paio di armadietti. «Faccio avanti e indietro dalla mensa a casa. Ci metto dieci minuti con il tram. Più comodo di così...».
Dà un’ultima occhiata alla casa, guarda fuori dalla finestra e sorride.

«Chi se lo sarebbe mai aspettato di vivere in un posto così, dopo sei anni in strada?». Prima di uscire, Angelo controlla nella tasca dei pantaloni, vuole sentire se ci sono ancora quelle chiavi o se è soltanto un sogno. Le prende in mano e tira un sospiro di sollievo. «È tutto vero».

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