Un Campiello infuocato

da Venezia

L’ideale incontro, quantomeno letterario, tra precari e imprenditori si è realizzato ieri sera alla «Fenice» di Venezia. Con 119 voti l’esordio narrativo Accabadora (Einaudi) di Michela Murgia ha vinto la 48ª edizione del «Campiello», il premio (da 20mila euro) di Confindustria Veneto, trionfando su Canale Mussolini (Mondadori) di Antonio Pennacchi (73 voti), su Gianrico Carofiglio con Le perfezioni provvisorie (Sellerio, 62), Gad Lerner con Scintille (Feltrinelli, 21) e sui 13 di Laura Pariani con Milano è una selva oscura (Einaudi).
Precaria d’oro la Murgia («Siamo tutti precari, anche lei» ha esordito in risposta a Bruno Vespa) che ha confessato di aver trovato tra gli industriali veneti un alto grado di «illuminazione»: «Mi hanno fatto venire meno ad alcuni miei pregiudizi. Hanno lo sguardo giusto per cui la cultura non è solo un costo, ma un valore che non confligge con l’economia». Pregiudizi nati forse durante il periodo come cottimista di call center, narrato nel diario Il mondo deve sapere (Isbn), che ispirò Tutta la vita davanti di Paolo Virzì.
I 300 della giuria dei lettori (quasi tutti «popolari», tranne i direttori di Io Donna, D e Vanity Fair, il presidente della Triennale di Milano Rampello e l’amministratore delegato del Sole 24 Ore Donatella Treu) non hanno confermato l’unanimità raggiunta dai 12 letterati, presieduti dal regista Giuseppe Tornatore, nel selezionare per la cinquina il vincitore dello «Strega». Tra il quarto caso dell’avvocato Guerrieri a firma Carofiglio, la saga delle Paludi Pontine di Pennacchi, la storia di Dante, barbone milanese di cultura, della Pariani e le memorie familiari tra Medio Oriente ed Europa di Gad Lerner hanno scelto la storia dell’anziana Tzia Bonaria Urrai che taglia il filo delle vite terminali, sarda come l’autrice e tratteggiata a tinte fosche «alla Niffoi». La cinquina ha dato vita nella giornata a una tra le conferenze stampa più infuocate nella storia del premio. «Solo un atto di intimidazione nei confronti degli scrittori Mondadori», ha definito Pennacchi la polemica innescata nei giorni scorsi dal teologo Vito Mancuso su Repubblica. «Perché se ne dovrebbero andare solo gli scrittori e non gli altri dipendenti? Io pubblico per Mondadori perché Rizzoli e Feltrinelli non mi hanno voluto. E anche Repubblica non mi fa scrivere una riga».

Lo scrittore è stato sostenuto dalla Pariani: «Un attacco meschino e insopportabile», e dalla Murgia: «Non si possono chiedere agli scrittori scelte che riempiano vuoti di un’opposizione che è stata maggioranza. Se non dispiace, e anche se dispiace, io rimango».
Sempre di operai, quelli delle fabbriche di Piombino, si parla anche nel Campiello Opera Prima, Acciaio di Silvia Avallone, vicino alle 300mila copie vendute.

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