Controcultura

La cancel culture? Non esiste. Intanto però, sparisci!

Per qualcuno è una dittatura immaginaria, inventata dalle destre. Sarà. Ma la cronaca dice altro...

La cancel culture? Non esiste. Intanto però, sparisci!

Vi ricordate quando a gennaio un deputato democratico eletto alla Camera dei Rappresentanti per lo Stato del Missouri recitò un inno durante l'apertura dei lavori del Parlamento degli Stati Uniti aggiungendo al tradizionale «amen» una sua versione femminile: «and a-woman»? Il mondo si mise a ridere, i critici del politicamente corretto insorsero, e invece era solo un gioco di parole che aveva lo scopo di rispettare la neutralità di genere: insomma, è stato tutto un fraintendimento. E a maggio, quando una blogger di San Francisco prese di mira su Twitter la favola di Biancaneve per via del bacio ricevuto «non consensualmente» dal Principe azzurro? I giornali ci si fiondarono, i commenti ondeggiarono fra lo sberleffo e l'indignazione, ma poi si scopre che no, non è proprio così, era solo una provocazione, una mezza fake news, una favola anche quella, che gli ignoranti populisti sovranisti sessisti salvinisti bianchi omofobi neocolonialisti e potenziali stupratori, si sono bevuti come vera. E le richieste alla BBC di boicottare il film Grease? Ma dài, siete pazzi a prendere cinque tweet indignati come rappresentativi dell'intero sentimento del popolo inglese... E la famosa censura antirazzista di Via col vento? Ma non era una censura, solo un disclaimer a inizio film! E le statue abbattute e imbrattate? Eccessi di fanatici («Anche se, certo, alcune di quelle figure storiche... insomma...»). E Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali, letteralmente cancellato, grazie alle tecnologie digitali, da un film già girato, senza processo? «...». E i classici della letteratura, della filosofia e della musica occidentale, messi ai margini dei programmi d'esame nei college americani perché discriminanti rispetto a culture «altre» e minoranze varie? «Casi isolati, e poi non è proprio così». «Anzi: semmai è agli studi postcoloniali e ai gender studies che non si dà abbastanza spazio!»).

Quindi, come ha provato a dirci Zerocalcare in un suo fumetto più confuso che divertente, più ideologico che originale, quella del politicamente corretto è una «dittatura immaginaria». La rivista Internazionale ci ha fatto anche una copertina quindici giorni fa. E L'Espresso continua a ripetercelo ogni settimana. E i siti di informazione indipendenti - loro sì che lo sono - lo spiegano per filo e per segno: chi denuncia ogni giorno casi immaginari di politicamente corretto e cancel culture è solo qualcuno terrorizzato dai cambiamenti che stanno investendo il mondo. Insomma, la cancel culture non esiste. Quelli tirati fuori dai giornali americani e poi gonfiati dai tabloid e poi strumentalizzati dai «giornalacci di destra», e poi commentati dai Mentana e dai Gramellini, sono solo episodi travisati o insignificanti. «E non è vero che Non si può più dire niente, basta con 'sta lagna!». Il politicamente corretto è solo nella testa di chi vuole continuare a offendere, ghettizzare, umiliare, ironizzare chiunque non sia maschio, bianco, etero, occidentale, benestante. Eccolo, il problema.

Ora è tutto più chiaro. «Cancel culture e politically correctness sono tutta una montatura!». In Italia, poi... «Quelli che sui social chiedono licenziamenti e cancellazioni sono irrilevanti: pochi e non contano nulla... dài: di cosa ci preoccupiamo?». «Anzi: più diamo importanza alla cancel culture più aiutiamo l'Alt-right, i suprematisti bianchi, il maschio predatore, le squadracce reazionarie, e soprattutto il partito dei salviani e dei meloniani!!». E quindi? Mah, forse la cosa migliore a questo punto è cancellare chi vuole parlare di cancel culture. Eliminare i tweet che segnalano le eliminazioni. Deridere chi denuncia il politicamente corretto. Far tacere chi sostiene che non si può più dire niente. «Anzi: siete voi che non mi fate mettere schwa e asterischi dappertutto!» *** tiè.

Insomma, rilassiamoci. A parte quei fanatici del Foglio, del Giornale e di qualche sito dissidente, la cultura della cancellazione - soprattutto in Italia - non esiste. Come la mafia. Sì, ma il museo di Lombroso che vogliono chiudere? («È razzismo scientifico!»). E la statua di D'Annunzio imbrattata a Trieste? («Era fascista!»). E i due comici massacrati dal web per una gag in cui fanno il verso ai cinesi? («Razzisti!»).

Meglio ripeterlo. La cancel culture NON esiste. «E infatti non è stato ancora ucciso nessuno».

Intanto la serie tv Friends, che ci ha fatto crescere sorridendo negli anni Novanta, oggi è criticata perché - a ripensarci - i protagonisti sono troppo bianchi e troppo poco gay. La statua gigante di Marilyn Monroe nella posa iconica con la gonna alzata di Quando la moglie è in vacanza, posizionata di fronte al museo di Palm Springs in California, è a rischio rimozione perché «sessista e diseducativa». E la Disney ha compiuto il suo capolavoro di rilettura dei classici hollywoodiani trasformando la nuova Crudelia in un personaggio positivo, che piace a tutti, animalisti compresi.

L'importante è che le destre, poi, non strumentalizzino il tutto.

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