Candy nel 2005 oltre la soglia del miliardo

«Non prevediamo altre chiusure in Italia. Ormai tutti i frigoriferi sono fabbricati a Praga»

Candy nel 2005 oltre la soglia del miliardo

Paolo Stefanato

da Milano

Una crescita a marce forzate per aumentare la massa critica. Un’acquisizione o l’avvio della costruzione di un nuovo stabilimento entro l’anno. Espansione nell’Est Europa. Un occhio attento e interessato agli Stati Uniti. Aldo Fumagalli, presidente operativo del gruppo Candy (100% famiglia Fumagalli), annuncia risultati 2005 buoni, e il superamento di due soglie: quella del miliardo di euro di ricavi (1.005 milioni per l’esattezza) e quella dei 6 milioni di pezzi venduti (6,1); con una crescita, rispettivamente, del 6,3% e del 10,5%. Il mercato degli elettrodomestici bianchi è in crisi, stretto tra l’impennata dei costi delle materie prime e la condizione di prodotto “maturo”: «L’Europa Occidentale è sull’orlo della recessione. Le difficoltà sono particolarmente forti in Gran Bretagna, ma, sul fronte dei Paesi nuovi, anche la Polonia ha frenato. Comunque, la crescita oggi è tutta all’Est».
Un miliardo è una bella cifra. Ma è una massa critica sufficiente a farvi stare tranquilli?
«Siamo sesti in Europa, quando nel mondo le aziende importanti non sono più di 40. Sicuramente dobbiamo crescere, ma c’è un’importante variabile: quello degli elettrodomestici è ancora un mercato continentale, più che globale. Se la concorrenza si estende, dobbiamo puntare a entrare nel gruppo dei primi 12, con una soglia di almeno 3 miliardi».
Intanto pensate di aumentare la vostra presenza nell’Est Europa
«Oggi l’Est vale il 19,2% del nostro fatturato e il 13% della nostra produzione: nell’arco di due anni vogliamo portare sia le vendite che la produzione al 25%».
Procederete sulla via della delocalizzazione, chiudendo altri stabilimenti italiani dopo quello della Donora di Cortenuova?
«No. Abbiamo già spostato in Cechia tutta la produzione di frigoriferi, sposteremo delle linee di cottura. Ma non prevediamo altre riduzioni in Italia: crescere in volumi del 10% all’anno - l’obiettivo che ci diamo - significa fabbricare 600mila pezzi in più: l’equivalente di una nuova fabbrica. Per la Donora, peraltro, si stanno studiando con il governo delle iniziative di re-industrializzazione».
Quindi dovrete aumentare la capacità produttiva. Prevedete acquisizioni?
«Siamo pronti a cogliere ogni opportunità. Ma è possibile che costruiamo un impianto ex novo».
Entro quando?
«Entro l’anno».
Ingrandirete lo stabilimento in Repubblica Ceca?
«Non credo, anche perché in zona comincia a scarseggiare la manodopera. Guardiamo ai Paesi vicini».
Con il marchio Hoover siete leader in Europa nelle aspirapolveri. Ma non le producete più, vero?
«Abbiamo chiuso le fabbriche in Inghilterra e a Lisbona e trasferito la produzione in sei fabbriche cinesi fornitrici, che lavorano sotto il nostro controllo di progetto e di qualità».
Hoover è stata messa in vendita negli Stati Uniti. Vi interessa?
«Noi siamo proprietari della Hoover Europa, adesso il gruppo Maytag, che conosciamo bene, ha messo in vendita la parte americana. Sicuramente ne parleremo».
V’interessa il marchio?
«Oggi Hoover Usa produce il 70% di quello che vende. Difficile comprare solo il marchio».
Potrebbe significare estendervi negli Stati Uniti, dove non siete presenti?
«In effetti il mercato degli aspirapolvere è già globalizzato».


Con quale risultato si chiude il bilancio 2005?
«Con un Ebitda di 50 milioni, l’utile netto per tradizione non lo comunichiamo».
Nei sessant’anni di storia dell’azienda c’è stato un bilancio in perdita?
«Mai».

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