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Il cane non è solo amico dell'uomo ma può riabilitarlo

Nei penitenziari americani entrano gli animali abbandonati, che permettono ai detenuti di diventare addestratori. Una via per il riscatto

Il cane non è solo amico dell'uomo ma può riabilitarlo

Quanto vera è la frase che ricorda a noi umani, capaci di compiere cose disumane, che a un cane non importa nulla il carattere, l'onestà o il conto in banca del suo padrone, perché a lui darà sempre un amore incondizionato, anche se ne riceverà indietro la metà. «Non basta avere un quattrozampe per capire quanto sia un essere senziente, capace di provare le tue stesse emozioni», spiega al Giornale da Los Angeles Zach Skow, 45 anni, istruttore e volontario nei canili della contea californiana di Kern. Anni fa fu salvato dall'alcolismo proprio dal suo cane. Comprese quanto fosse potente il valore terapeutico esercitato su mente e corpo da questi pelosi scodinzolanti. Iniziò, così, a raccoglierli dalla strada e divenne istruttore cinofilo. Nel 2016 ha ideato «Pawsitive Change», un programma che porta i cani nelle prigioni americane e permette ai detenuti di diventarne addestratori per riscattarsi e intraprendere il cammino della riabilitazione.

Attualmente Zach lavora alla North Kern State Prison (200 chilometri a Nord di Los Angeles), un popoloso penitenziario che ospita cinquemila detenuti. Chi accetta il programma, frequenta lezioni per addestrare cani a salvare vite umane, durante terremoti o altri fenomeni catastrofici naturali. Sono tutti quattrozampe abbandonati, vittime di violenza e salvati dai canili che, come i loro padroni galeotti, hanno diritto a una seconda possibilità per lasciarsi alle spalle la gabbia.

«Sono due solitudini che s'incontrano e si uniscono, molto spesso, per la vita», racconta Zach. «Sono due esseri che hanno bisogno di una seconda opportunità, dopo un percorso assieme che darà loro una nuova vita». Partendo dal concetto che il carcere debba riabilitare un uomo che ha sbagliato e prepararlo a rientrare nella società, Zach ha pensato che l'educazione di un cane abbandonato sia il miglior metodo. «Non credo esista differenza tra ciò che prova un uomo o un cane dietro le sbarre. Sono stati entrambi privati della libertà, condannati a una pena, anche se per il cane è ingiusta. Entrambi possono rinascere e tornare a vivere. Se osservi la paura che prova un detenuto a uscire dalla sua cella, ti accorgi che è la medesima di un cane che abbandona la sua gabbia». E, se per i quattrozampe, il canile è una pena ingiusta, perché non colpevoli della loro sorte, il programma di Zach trasforma i randagi in animali utili alla società. Dal 2016 ha già formato centinaia di addestratori, tutti ex detenuti, e altrettanti cani, salvati dall'eutanasia e che ora aiutano non vedenti, malati, bambini e anziani. Soltanto in California sono sette gli istituti penali più un centro di correzione giovanile femminile dove funziona il metodo «Pawsitive Change»: il nome gioca sulla sonorità simile in inglese di «paw», pegno, e «sitive», che suona «positive», positivo.

«I numeri sono promettenti», spiega Zach, «la presenza dei cani nelle carceri ha ridotto drasticamente liti e aggressioni tra detenuti». Il programma, inoltre, vale come sconto di pena e, molti ex rapinatori e spacciatori hanno visto aprirsi con largo anticipo le porte del penitenziario. «Alla Los Angeles City Prison Facility, quarantadue detenuti sono stati rilasciati sulla parola, nessuno di loro è ritornato dietro le sbarre. Sono uomini liberi e istruttori felici che lavorano con i medici della pet-therapy, con i soccorritori e anche per la polizia». E, se si considera che il tasso di recidiva negli Stati Uniti è del 43%, «Pawsitive Change» è un miracolo. Il programma rilascia, dopo quattordici settimane di lezioni, un diploma di addestratore. Anche i cani, terminato l'addestramento, hanno il loro «Canine Good Citizen», che riconosce il loro buon comportamento e l'obbedienza. «Alcuni nostri ex studenti si sono poi laureati alla facoltà di veterinaria, grazie a borse di studio e aiuti statali. Ora lavorano per le cliniche private e gli ospedali dell'esercito. Non è semplice non avere pregiudizi verso i detenuti, sono pur sempre stati criminali. Posso, però, garantire quanto sia grande il loro coinvolgimento durante le lezioni così come il loro rispetto per insegnati-istruttori e cani. Nessuno si distrae o scimmiotta il compagno di classe. Non ci sono risse, tutti prendono appunti, fanno domande e condividono le conoscenze». Per essere ammessi al corso, i detenuti devono scrivere una lettera di motivazione. È escluso soltanto chi ha una condanna per stupro o violenze sugli animali.

«Il rapporto tra il nuovo padrone e istruttore con il suo cane diventa simbiotico in pochissimo tempo. Li trattano come fossero i loro figli: si preoccupano se non mangiano o che cosa mangiano, esaminano le loro feci, chiedono e cercano informazioni sulle loro razze, sulle malattie canine», spiega Zach.

Una parte fondamentale del programma è che gli studenti non siano mai appellati «detenuti» durante le lezioni, ma soltanto «addestratori» o «soccorritori». «Questo perché lo studente deve essere scollegato dalla galera. Deve sentirsi uno studente all'inizio di un nuovo progetto di vita. Non deve essere turbato dai ricordi sollecitati da forze negative, come il sentirsi chiamato con una serie di numeri. Gli animali non riescono ad apprendere da chi si mostra emotivamente sbilanciato, soprattutto un cane maltrattato tende a non fidarsi di chi mostra sentimenti contraddittori. Il nostro allievo deve liberare la mente dai suoi errori passati, e iniziare un nuovo capitolo. Soltanto così può dedicarsi al rapporto d'amicizia e di addestratore del cane con cui trascorrerà molto tempo assieme, imparando a prendersi cura di lui. Noi chiediamo questo sforzo a chi entra nel programma, anche se ci troviamo dentro il penitenziario: non bisogna avere ostacoli mentali. Molti allievi ripetono il corso fino a diventare uomini liberi».

Insomma, i detenuti sono restituiti alla vita dall'amore per un cane che, come loro, ha conosciuto il dolore di vivere in una gabbia.

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