Il cantico virtuoso del Poeta «pop»

È come certi cognac di eccelsa qualità; più invecchia più si esprime con classe e passione, reiterando la magia di canzoni (alcune delle quali fischiettate da tutti) che non perdono mai il contatto con la realtà.
Un nome una garanzia: Mister Paul Simon, l’uomo dei 12 Grammy e dei milioni di dischi venduti, 66 anni votati alla musica e alla poesia, che stasera arriva all’Arena, ore 21.00, per «Milano Jazzin’ Festival». Forse il concerto più prelibato, più intenso, senz’altro lo show storico di questa bella rassegna che ha portato a Milano tanti grossi nomi del jazz, del rock, della etnica e del blues (tra l’altro, ad anticipare lo show di Simon, ci sarà il virtuoso e trasversale chitarrista blues Robben Ford con la sua band).
Non nostalgia dunque, ma ricordi vividi e ballate d’autore con uno dei pochi poeti laureati in pop, un must per i fan di tutte le età.
Lasciata definitivamente (!?!) da parte l’angelica spalla Art Garfunkel (hanno cominciato come Tom & Jerry, e Simon per spiegare il loro rapporto dice: «ci siamo conosciuti nel 1953, avevamo 11 anni; abbiamo cominciato a cantare insieme a 13 e a litigare a 14 e non abbiamo mai smesso»; insieme hanno suonato nel 2004 a Roma, davanti al Colosseo) Simon, che è sempre stato la mente del duo, ha proseguito da solo una sfolgorante carriera.
Da sempre è il magico autore di ballate che coniugano sognanti melodie e testi di semplice ma raffinato (e a tratti disperato) realismo.
È il cantautore che nasce dall’epoca d’oro del newyorkese «Greenwich Village», ma si ispira agli Everly Brothers e a Bobby Darin, quello che non s’è mai consacrato alle mode e ai teen ager (agli esordi ha fatto una lunghissima gavetta, incidendo sotto vari pseudonimi e cercando fortuna in Inghilterra, dove incise nel 1965 l’intenso album per sola voce e chitarra The Songbook, ripubblicato da poco, che contiene le primissime versioni di classici come I Am a Rock).
Garfunkel ha una voce splendida e ben impostata, che permea le loro ballate di toni soft e a tratti troppo melensi (anche se brani come Scarborough Fair Cantichle sono inimitabili), ma Simon da solo ha un altro passo, un modo di trattare i pezzi con quella voce secca, improbabile ma estremamente intensa, a volte sporca e imprecisa ma ricca di dramma e di passione (confrontare la sua versione di Sound of Silence con quella in duo).
Intimista e rockeggiante, bluesy e pop, funky e africaneggiante, Simon in concerto mostra tutta la sua versatilità dando la giusta ripassata a Mrs. Robinson (chi non l’ha amata sui long playing e vissuta negli amori e nelle turbe di Dustin Hoffman nel celebratissimo film Il laureato, pellicola cult di metà anni Sessanta che ha fatto sognare un’intera generazione: si, proprio quella con il «Duetto» rosso!) e a The Only Living Boy In New York, allo stupendo ritratto urbano di The Boxer, toccando poi i migliori passaggi del suo repertorio solista, dalla guizzante Me and Julio Down By the Schoolyard all’African gospel di Graceland e Diamnod On the Sole of My Shoes, da You Can Call Me Al e Slip Slidin’ Away a Duncan e You’re the One. Storia ed attualità, canzoni che si trasformano in racconti e viceversa, momenti di estasi, di sogni ad occhi aperti e di puro divertimento per tutti e per tutte le età; perché Paul Simon sa giocare non solo con le note ma anche con i sentimenti e con tutte le sfumature dell’animo umano, senza farsi prendere la mano dall’amarcord.

In attesa del suo prossimo album, stasera condividerà ritmi e melodie con Mark Stewart e Vincent Nguini alla chitarra, Tony Cedra alle tastiere, Bakithi Kumalo al basso, Andy Snitzer al sassofono, Charley Drayton e Jamey Haddad alle percussioni.

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