Roma - «Ho avuto una vita meravigliosa. Quando me la raccontano quasi non ci credo. Ma dài - penso - non è possibile aver avuto tanta fortuna!». Ecco un entusiasmo a cui si può credere. È come l’artista che lo esprime: sincero. «Gli incontri che ho fatto, le persone che ho conosciuto... perfino i momenti bui - riflette Gianni Morandi -. Ringrazio la vita per tutto. Perché tutto mi ha aiutato a essere quello che sono». E forse proprio questo è il segreto di Grazie a tutti, lo show della domenica di Raiuno che ha riportato al successo la sincerità del golden boy. Facendo da apripista a Canzoni da non perdere: il nuovo cd uscito ieri in cui l’amatissimo Gianni interpreta dodici canzoni non sue, da Rimmel di De Gregori ad Avrai di Baglioni, da Tu non mi basti mai di Dalla a Perché no di Battisti, passando - fra le altre - per Concato (Fiore di maggio), Bennato (L'isola che non c'è), Jovanotti (A te), Raf (Inevitabile follia). «Insomma: le canzoni degli altri che più ho amato e fischiettato - spiega - esattamente come i miei fan amano e fischiettano le mie».
Un capovolgimento di ruolo che dice tante cose. Intanto: quali di queste canzoni sono le più importanti? E quali le più lontane da lei?
«Be’: Rimmel e Avrai sono nella storia della canzone italiana. A te è poesia pura. Ma tutte indistintamente hanno segnato alcuni passaggi della mia vita. Musicalmente la più estranea è Rimmel. Qualcuno penserà: ma che c’entra Morandi con De Gregori? E in effetti io le parole di questa canzone non le capisco tutte. Una volta lo chiesi, a De Gregori: «Ma che cosa hai voluto raccontare?». Lui rideva, mi prendeva in giro: “Basta che leggi il testo”. Penso sia la storia di un amore finito. Ma non ne sono proprio sicuro... ».
Alcune - come «Storie di tutti i giorni» di Fogli, «Luna» di Togni e «Tu sei l’unica donna per me» di Sorrenti - furono popolarissime ma snobbate dalla critica, che le riteneva troppo commerciali.
«Già: come se essere popolari fosse una colpa e non, invece, un segno di grandezza. Fortuna che poi le grandi canzoni sanno da sole come camminare: e queste sono grandi canzoni. Ricordo quando uscì quella di Sorrenti: io ero fuori dei giochi, mentre la sua si sentiva ovunque. Così cantarla oggi mi dà allegria: vuol dire che ne sono venuto fuori. La canzone di Fogli rappresenta gli anni in cui lanciammo la Nazionale cantanti: era Riccardo la nostra punta di diamante, era lui a riempire gli stadi. E grazie proprio a quella canzone. E Luna? Era così bella che ne soffrivo. Allora non potevo sapere che il treno sarebbe ripassato anche per me, e che avrei potuto riagguantarlo».
Cosa le hanno lasciato i suoi dieci anni di «black out» artistico?
«Gratitudine. Sì: io ringrazio di averli vissuti. Sono stati anni durissimi, ma salutari. Mio padre me lo diceva sempre: “Non durerà”. E di colpo nessuno mi cercò più, non c’era un cane che mi telefonasse. Ho dovuto affinare un altro talento: quello di saper prendere gli schiaffi e di tenere duro lo stesso».
Lei le interpreta questi brani tutti nella loro versione originale. Una scelta precisa?
«Sì: i suoni sono quelli di oggi, ma alle melodie non ho cambiato una nota. Mi disturbano molto quei colleghi che ripropongono i loro successi stravolgendoli al punto da non farteli quasi riconoscere. Se la gente li ama così, è proprio perché sono così. Io In ginocchio da te non l’ho mai toccata. Capisco i cantanti che, dopo decenni della stessa canzone, si stufano e per sopravvivere devono almeno modificarla».
Forse per questo il suo show tv sta avendo successo: perché le somiglia.
«Credo anch’io. La controprova l’ho avuta con lo show precedente Non facciamoci prendere dal panico, in cui l’autore Diego Cugia mi propose di stravolgere la mia immagine. Facevo l’antipatico, il provocatore, il cattivo... Esperienza interessante, ma sterile. Solo Fiorello ci si è divertito, quando ne faceva la parodia chiamandomi “Bastardo!”».
Dunque, il segreto del suo successo è... ?
«La normalità. Due ore di show che volano via leggere e semplici come una serata in pizzeria con un amico. E poi la presenza di Alessandra Amoroso. Quando me l’hanno fatta sentire la prima volta ho pensato: “Accidenti: questa sei mesi fa faceva la commessa, oggi ha una canzone nella hit!”. Nel frattempo è cresciuta, ha fatto un disco di successo ancora maggiore, ma è rimasta fresca, ingenua ed entusiasta come all’inizio.
Se glielo chiedessero, si metterebbe ancora in mutande per alzare gli ascolti?
«Stavolta pare che non ce ne sia bisogno, per fortuna. Ma intanto mi faccia incrociare le dita».