Caos in via Solferino per il nuovo piano editoriale

RomaA volte capita che i giornali raccontino la realtà senza scriverla. Al Corriere della Sera sta andando in scena, senza che nessuno se ne occupi più di tanto, una rappresentazione della battaglia tra garantiti e outsider. Un sociologo del lavoro potrebbe prendere in prestito il palazzo di via Solferino a Milano e utilizzarlo come laboratorio per studiare l’impatto delle nuove tecnologie sulle vecchie professioni. Un esperto di relazioni industriali troverebbe invece un interessante caso di studio sul peso dei sindacati nel Belpaese.
Se dietro alla riorganizzazione che Rcs e anche il direttore Ferruccio de Bortoli considerano irrinunciabile ci fosse anche la prospettiva di un trasferimento delle redazioni in Polonia o in Brasile, insomma, la vertenza Corsera sarebbe una Fiat bis.
Specchio di Paese dove i cambiamenti sono visti come minacce e la flessibilità è considerata un bene solo se ne sta fuori dai confini del proprio giardino. Bastava guardare i siti internet - dove lavorano spesso giovani alle prime armi e in lotta per un contratto di serie A - che pochi giorni fa davano conto degli ultimi sviluppi della vertenza, per verificare come le ragioni dei giornalisti del Corriere siano poco comprensibili ai più. Molti mettevano in risalto quello che il Cdr (il comitato sindacale interno) indicava come un sacrificio, accettato a malincuore, quasi mettendo a rischio la libertà di stampa: la rinuncia agli autisti che l’azienda metteva a disposizione dei redattori, che - secondo il sindacato - erano necessari, ad «arrivare prima della concorrenza sul luogo di un delitto o un fatto di cronaca improvviso, come la forza e il prestigio del Corriere richiederebbero». Al Corriere, in altre parole, non si possono mettere in discussione cose che negli altri media non ci sono più da anni o non sono mai esistite.
De Bortoli aveva provato a sfidare l’assioma già in settembre, con una lettera inviata ai redattori nella quale chiedeva di «ricontrattare quelle regole, in qualche caso autentici privilegi, che la multimedialità (e il buon senso) hanno reso obsolete». Il riferimento, tra le altre cose, era alle resistenze a internet e alla versione per Ipad del giornale, al rifiuto di fare scrivere sulle pagine nazionali i redattori delle testate locali e a certe rigidità nell’organizzazione interna.
La ricetta è stata messa nero su bianco in un documento che l’azienda ha fatto alla redazione poco prima di Natale e che il Cdr ha respinto denunciando «pressioni ricattatori a ipotesi penalizzanti per il futuro del giornale e per la sua qualità e libertà». Nel merito consiste nell’integrare l’informazione internet con quella cartacea. I redattori devono segnalare notizie, scrivere e fare collegamenti audio per il sito e per questo dovranno seguire corsi di aggiornamento. Caldissimo il fronte dei giovani. La direzione sostiene di essere alla loro parte. Lo sbarco su internet non potrà che comportare l’innesto di forze fresche e per le future assunzioni, il Corriere della Sera vorrebbe addirittura ricorrere - come succede all’estero - a veri e propri «bandi» da pubblicare su carta e sull’online. In cambio di un’accesso alla professione un po’ più trasparente i neoassunti dovrebbero avere un trattamento economico temporaneamente inferiore a quello degli altri redattori e dovranno passare per una specie di gavetta interna.

Condizioni che il Cdr condanna come il tentativo della direzione di assumere «nuovi redattori solo con contratti di grande sfavore rispetto ai giornalisti in forza oggi», ma che - c’è da scommetterlo - il 100 per cento degli aspiranti giornalisti italiani - accetterebbe volentieri.

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