Lo chiamano il Boss. Roba da Bruce Springsteen rispetto al Bryan Ferry, al secolo il suo predecessore Lippi Marcello. Lo definiscono così gli inglesi che conoscono la musica ma anche il football e i suoi interpreti, dividono il rock dal pop, il duro dal dandy.
Fabio Capello, dunque, è il Boss, per quello che finora ha saputo fare e prendere, per come si pone, si offre, per la sua bazza spigolosa che lo fa sempre di più assomigliare a Nereo Rocco, per quel modo aspro di trattare tutti e chiunque.
«Il mio sogno è quello di prendere la patente di pilota daereo e di guidare un caccia». In attesa del decollo ha già abbattuto diversi avversari, in ogni dove. A Torino non lo volevano, quei tifosi volgari e irriducibili che sono legati al passato e non dimenticano le baruffe con il Boss quando era al Milan e soprattutto alla Roma. La qual cosa non disturba Capello, abituato alle corride di Madrid: «Nel calcio non ho amici. E fuori dal campo non vivo lossessione del football. Vivo». Il Boss tira diritto, da un anno sta in testa, addì 12 settembre del 2004, prima giornata del torneo che fu: fanno quarantaquattro partite di campionato, totale 104 punti, gol segnati 79, gol presi 29. Per Capello non è una novità, al Milan gli riuscirono imprese analoghe, è stato in testa alle classifiche 263 giornate su 465 (56 per cento), il vizietto se lo porta appresso dalle scuole magistrali, il bisiaco ha una idea fissa in testa: «La disciplina, se non ce lhai con te tutti i giorni non puoi trovarla la domenica, se non ti alleni con disciplina, se non ti applichi con disciplina non ti stacchi dagli altri. Se vai in campo non per lavorare ma per occupare il tempo libero allora è meglio che tu te ne stia a casa. Questa è la mia filosofia». Kevin Buckley, il collega inglese che ha raccolto nelle settimane scorse i pensieri e le parole del Boss, si deve essere stupito: un italiano che parla e pensa come un tedesco non si era ancora visto. Forse perché mister Buckley non si era occupato di Capello, dai tempi della Società polisportiva ars et labor, insomma la Spal di Mazza quando Fabio già studiava da boss.
Emerson, che è un brasiliano di testa tedesca pure lui, ha ammesso che «Capello è un tecnico eccellente, ma urla troppo». Più che urlare sembra che ringhi, la faccia diventa di gomma, riempiendosi di rughe, gli occhiali traballano e la voce mette paura agli astanti, forse anche a Giraudo e Moggi che pensavano di avere lesclusiva e il copyright in materia.
Si può ben dire, allora, che questa Juventus sia limmagine vera di chi lallena, assolutamente lontana da quella di Lippi, più vicina a quella di Boniperti, e scrivo Boniperti e non Trapattoni perché era il presidente, con perfidia e grandissimo senso di appartenenza, a marchiare quel gruppo, tenuto insieme dal tecnico di Cusano Milanino, così come aveva già fatto Cestmir Vycpalek, dimenticato troppo in fretta da molti studiosi del buon football.
La Juventus di oggi, dunque, ha la stessa pelle e lo stesso sangue del suo allenatore, pochi fronzoli, un certo gusto estetico ma lassoluta determinazione e, soprattutto, una attenzione continua durante i novanta minuti, caratteristica che non apparteneva a Lippi, fragile dinanzi allemergenza, fragilissimo dinanzi alle polemiche.
Il Boss ha vinto anche alcune scommesse personali: Emerson e Ibrahimovic su tutti, ma sa bene che non può farsi prendere dal personaggio. Lo ha fatto, sbagliando, contro il Parma, cambiando i fattori in campo e rischiando di buscarle, finché non ha di nuovo rimesso in squadra quelli veri, i capelliani, Ibrahimovic, Emerson e Nedved, trovando gioco e gol. Se Capello fa Capello, insomma, il risultato arriva, anche se al Boss mancano i riconoscimenti internazionali: una sola coppa dei campioni è poco per chi invece ha vinto titoli e trofei nazionali in Italia e Spagna (7 campionati).
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