Capolavori di regime

T ra il 1929 e il 1939 Mussolini percorre in lungo e in largo l’Italia per inaugurare Case del Fascio, scuole, sedi di ministeri, stazioni ferroviarie, palazzi di giustizia. La frenesia edilizia del regime è funzionale a un progetto allo stesso tempo politico e antropologico: creare «l’uomo nuovo fascista», fare degli Italiani un popolo non solo di guerrieri, ma anche di costruttori. Il Duce tiene di persona i contatti con i più importanti progettisti dell’epoca, sia di maniera, come Marcello Piacentini, che d’avanguardia, come Giuseppe Terragni: li riceve a Palazzo Venezia, valuta le loro proposte, talvolta dà loro dei suggerimenti.
Tramite l’architettura Mussolini può comunicare con le masse, inculcare miti, plasmare l’immaginario popolare arricchendolo di simboli scolpiti nella pietra, di forme suggestive e magniloquenti, di emblemi di un potere che vuole perpetuarsi nei secoli. L’architettura del Ventennio ha infatti il compito di tramandare ai posteri i valori della civiltà fascista, di inventare uno stile che condizioni anche in futuro l’identità estetica dell’Italia.
Un’operazione perfettamente riuscita, secondo Paolo Nicoloso, docente di Storia dell’Architettura presso le Università di Udine e di Trieste e autore di «Mussolini architetto. Propaganda e paesaggio urbano nell’Italia Fascista», un bel libro pubblicato da Einaudi che domani alle 18.30 verrà presentato da Luigi Cavadini a Como, nell’ambito di «Parolario».
La storiografia ufficiale sul fascismo sinora non ha dedicato molto spazio ai temi che lei tratta nel suo libro. Com’è stato possibile ad esempio che Renzo De Felice, il più rilevante studioso del regime, abbia del tutto trascurato il ruolo svolto dall’architettura?
«Non è facile dare una risposta compiuta a questo interrogativo. De Felice è stato davvero lo storico che ha studiato meglio il Fascismo, che ha avuto accesso ai documenti più importanti e che soprattutto ha saputo fornire una visione poliedrica del fenomeno. Eppure, come risulta da una mia puntuale ricerca che riporto nel libro, nelle circa 4000 pagine di cui è composta la sua opera, la parola “architettura” non compare mai. Forse lo inibiva il fatto di affrontare una disciplina che esulava dalla sua formazione di storico».
In Lombardia, e in particolare nelle città di Como e di Milano, sono presenti numerosi edifici razionalisti costruiti durante il Ventennio. Devono essere considerati a tutti gli effetti “architettura fascista” oppure dei capolavori che esulano da categorie politiche?
«Giuseppe Terragni, autore della Casa del Fascio di Como, e Mario Pagano, progettista dell’Università Bocconi, così come gli altri architetti razionalisti, sono profondamente convinti che si possa conciliare il Fascismo e il Razionalismo. Mussolini invece, nella seconda metà degli anni Trenta, intuisce che gli edifici razionalisti non vengono capiti dal popolo e che quindi non sono funzionali al suo intento propagandistico. Inoltre avverte l’esigenza di unificare lo stile, di fornire alle masse un’immagine chiara e univoca dell’architettura fascista, e quindi opta per uno stile più tradizionale. Per i Razionalisti, tuttavia, la fedeltà al regime, almeno sino allo scoppio della seconda guerra mondiale, è fuori discussione».
A suo avviso, quali sono gli esempi più significativi di architettura fascista a Milano?
Senza dubbio l’Arengario e il Palazzo di Giustizia. L’Arengario è molto interessante per il motivo degli archi, che si ritrova in seguito nel Palazzo delle Civiltà all’Eur, a conferma di quella “unità di indirizzi stilistici” che caratterizza l’architettura fascista dalla seconda metà degli anni Trenta. Il Palazzo di Giustizia, progettato da Marcello Piacentini, è uno dei due più grandi edifici fascisti costruiti in Italia: Mussolini lo visita più volte mentre è in fase di realizzazione.

Il Duce d’altra parte è molto interessato al nuovo assetto architettonico della città: il Podestà gli sottopone i progetti di risistemazione di piazza Diaz, di piazza Duomo, di piazza San Babila e riceve da lui numerosi suggerimenti».

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