Caputo il camaleonte cambia la quarta casacca

Prima socialista, poi da Forza Italia passò alla Margherita: ora è allo Sdi

Quelli della Margherita brindano. Anche quelli dello Sdi innalzano i calici. E la ragione di tanta gioia ha un nome e un cognome: Roberto Caputo. Sì, proprio quel Caputo che fu assessore socialista a Palazzo Marino prima, presidente del consiglio provinciale nell’era Colli poi e che, nell’era Penati, scelse la Margherita dopo essere stato al vertice meneghino di Forza Italia.
Due anni dopo l’ultimo salto di fosso - salutato da Francesco Rutelli come «l’arrivo delle idee per fare proposte importanti a Milano» - Caputo trasloca nello Sdi di Enrico Boselli. Ennesimo passaggio di fronte deciso, sostiene Caputo, dopo aver «scoperto sulla mia pelle che nella Margherita rispetto al riformismo si pratica il coitus interruptus». Traduzione: nella Margherita di Nando Dalla Chiesa e Patrizia Toia non c’è spazio per chi pratica idee riformiste. Anzi, sono giudicate di troppo dai «padroni milanesi del partito». Loro, gli accusati, mentre promuovono Caputo sul fronte della comunicazione, «ogni giorno è sulle pagine delle cronache cittadine», lo bocciano su quello della responsabilità, «non sa lavorare in gruppo e accentua le fratture interne, nonostante in termini di voti non abbia alcun peso». Della serie: le parole sono pietre. Caputo replica vagheggiando di «corpo estraneo», di «partito neoconfessionale» e di «ritorno a casa, in quella dei socialisti come me».
Valutazioni che nulla tolgono né aggiungono alla transumanza nello Sdi boselliano.

Un dopo-Margherita che, attenzione, potrebbe tranquillamente riservare nuove sorprese, come confida Caputo stesso in versione poeta: «Mi perdo e mi ritrovo, un’onda dopo l’altra, scontro continuo di via, illusioni di certezze non avute. Essere un manichino». Messaggio inequivocabile. Che aggiungere? Il titolo della poesia: «L’illusione di un colore», che fa da leit motiv alla quotidianità di un politico sempre insoddisfatto.

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