«Cara Juve, ti spiego io la Champions»

da Torino

Insieme a Del Piero, è il solo juventino ad avere vinto una Champions League: Hasan «Brazzo» Salihamidzic era infatti parte integrante del Bayern Monaco che nel 2001 si impose nella finale di Milano battendo il Valencia ai calci di rigore. «La giornata calcisticamente più bella della mia vita», ammette. Stasera a Torino (ore 20,45), la sua Juventus chiederà agli slovacchi dell'Artmedia un primo lasciapassare per il tabellone principale della competizione, in attesa del ritorno fissato il prossimo 27 agosto.
Allora, Salihamidzic: come si fa a vincere una Champions?
«Essendo squadra, sempre e comunque. Facendo gruppo, dentro e fuori dal campo. Non dico che si debba essere amici per forza, ma l'obiettivo deve essere unico per tutti. Le gelosie non possono esistere».
In quel Bayern funzionava tutto perfettamente?
«Esatto. E, una volta vinta la coppa, facemmo baldoria per dieci giorni: prima a Milano, poi a Monaco, New York e Las Vegas. Non capivo più nulla dalla gioia, toccavo il cielo con un dito».
Una gioia superiore anche alla prima partita in assoluto giocata con l'allora neonata nazionale della Bosnia?
«Sì, pur se quel giorno resta tra i più belli della mia vita. Giocammo a Bologna contro l'Italia e segnai anche un gol».
Ha mai pensato che, rimanendo al Bayern, avrebbe già vinto un altro campionato e sarebbe già qualificato al tabellone principale della Champions?
«Ho vinto la Bundesliga sei volte: arrivare a sette-otto non avrebbe cambiato nulla nella mia carriera. Era arrivato il momento di lasciare la Germania e di provare qualcosa di nuovo per la mia vita. L'Italia, visto quello mi era già successo, era nel mio destino. E alla Juve non puoi dire no».
Ha vinto la sua ennesima scommessa, insomma.
«Per adesso sì, decisamente. Finora non mi sono mai pentito delle mie scelte, anche se nulla è paragonabile a quando, nel 1992, decisi di emigrare in Germania per provare a fare il calciatore: in Bosnia la situazione era drammatica, mi sentii uomo a sedici anni e lo dissi chiaramente a mio padre. Se avessi fallito, sarei tornato a casa e mi sarei cercato un lavoro normale, ben sapendo che non sarebbe stato facile arrivare alla fine del mese».
Adesso vive nel mondo dei sogni: che effetto le fanno tutti i soldi che girano nel calcio?
«Certe valutazioni mi sorprendono e non le trovo giuste. Poi però penso anche che non sempre vincono le società che spendono e spandono: il Chelsea, per esempio, non ha ancora alzato Champions e l'Inter non la fa sua da chissà quanti anni. I soldi non sono tutto: conta la compattezza di un gruppo, anche se le individualità sono importanti».
La Juve in questo come è messa?
«Bene, lo spirito è quello del mio Bayern. E l'arrivo di Poulsen si spiega proprio così: un giocatore bravo a tenere unita e compatta la squadra. Lo so che tanti avrebbero preferito Ronaldinho o chi per lui, ma noi abbiamo un altro dna rispetto al Milan e il danese era quello che ci serviva. Sia per il campionato che per la Champions».


Intanto sono già cominciate le polemiche con l'Inter e con Mourinho: che ne pensa?
«Non mi importa quasi nulla, ognuno è fatto a modo suo. Credo però che il portoghese abbia esagerato: tra colleghi ci vuole rispetto».

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