Caravaggio «sdoppia» San Paolo

Sabrina Vedovotto

La città di Roma vive in uno stato di grazia dal punto di vista culturale, e nel suo rapporto con Caravaggio in particolare, che nella città eterna è giunto nel 1592, per soggiornarvi per oltre dieci anni, creando opere di inestimabile bellezza. Opere che si trovano nei musei, e nelle chiese di Sant’Agostino, in San Luigi dei Francesi, e in Santa Maria del Popolo. In questa chiesa, oltre alla già famosa Crocifissione di San Pietro e alla Conversione di Saulo, è da poco giunta anche la seconda versione della Conversione. Quest’ultima infatti, di proprietà della famiglia Odescalchi, è stata recentemente restaurata, e risulta essere praticamente sconosciuta al grande pubblico, proprio perché da sempre tenuta in appartamenti privati.
Il restauro, eseguito da Valeria Merlini e da Daniela Storti, ha reso possibile notare, ancora una volta, le straordinarie capacità pittoriche di questo grande artista. Le due versioni della Conversione sono state poste una vicino all’altra, alla medesima altezza, rendendo così un impianto scenografico di suggestiva bellezza. L’opera di proprietà privata in realtà è la prima versione della Conversione, anch’essa realizzata con il pendant della Crocifissione di San Pietro. Quest’ultima forse andata persa. Per quanto riguarda la Conversione, la storia narra di un rifiuto da parte dei committenti, e di strani e avventurosi pellegrinaggi, che alla fine l’hanno portata presso la famiglia Odescalchi, che se ne è presa cura. Le due Conversioni si distinguono intanto per il supporto. Le opere in pianta stabile nella chiesa infatti sono realizzate su tela, le altre due invece, e ciò è scritto proprio nel contratto con il committente Cerasi, da cui la cappella prende il nome, sono invece su tavola di cipresso. L’enigma intorno al quale da sempre gli storici dell’arte si dibattono verte proprio sui motivi del rifiuto della Conversione Odescalchi, a favore dell’altra. Ora che gli studi sembrano essere arrivati a un punto, e con il restauro definitivamente concluso, l’ipotesi più verosimile che si può azzardare non parla più di un rifiuto da parte di Tiberio Cerasi, quanto piuttosto di una decisione presa dallo stesso Michelangelo Merisi. Una volta terminata la cappella da Maderno, probabilmente, il grande artista, visto l’esiguo spazio utile, e vista la collocazione obbligatoriamente alta, pensò a una seconda edizione dei due temi, questa volta con un impianto compositivo tale da non essere schiacciato.

In sostanza le due tele realizzate per prime avevano bisogno di un maggiore campo visivo e di una altrettanta distanza per poter essere ammirate. Cosa che effettivamente, vedendo ora la Conversione collocata in situ, si nota in maniera palese. Fino al 25 novembre, chiesa di Santa Maria del Popolo. Ingresso gratuito. Tutti i giorni dalle 11 alle 21.

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