Carbonizzato nell’auto del padre

La vittima dovrebbe essere un ragazzo di 23 anni figlio di un noto medico docente alla Sapienza. Forse si è tolto la vita per un banale tamponamento

da Roma

Giallo alle porte di Roma. Quando alle 5,45 di ieri mattina gli uomini della Polstrada di Monterosi (frazione a Nord della Capitale, lungo la Cassia bis) arrivano in via dei Mandriani, stradina isolata di campagna, la Fiat Bravo intestata a Giuseppe Midiri, 54enne luminare di Medicina, professore associato all’Università «La Sapienza», ancora brucia. All’interno, prono sul sedile posteriore, il capo rivolto al lato del passeggero, c’è il corpo apparentemente di un uomo che arde ancora come un tizzone. Una scena raccapricciante che fa subito pensare a uno spietato regolamento di conti negli ambienti della malavita. Tanto più che ai primi soccorritori sembra che la vittima abbia le mani e i piedi legati: incaprettato, insomma. Bisognerà aspettare l’arrivo del medico legale sul posto, la dottoressa Vincenza Liviero, per avere le prime certezze: nessun segno di violenza sul corpo, nessun legaccio ai polsi o alle caviglie. A terra, accanto alla vettura, una tanica di benzina in parte fusa dalle fiamme. Dall’altra parte della città gli agenti della squadra mobile capitolina bussano alla porta dell’elegante appartamento di via Cechov, all’Ardeatino, zona sud, a cinquanta chilometri di distanza, dove Midiri risulta domiciliato.
Il professore, originario di Messina, insegnante di Teledidattica applicata alla Medicina, è in casa insieme con la moglie, Carla, dermatologa. Federica, la figlia più grande, 25 anni, è all’estero, a New York. All’appello manca solo il minore, Giacomo, 23 anni, studente al terzo anno di Conservazione dei Beni Culturali all’Università Roma Tre. «Era uscito a bere qualcosa con gli amici ieri sera - racconta la mamma negli uffici degli investigatori della Sezione Omicidi -. Poi l’abbiamo sentito rientrare intorno all’1,30. Quindi uscire di nuovo con la Fiat Bravo. Non è più tornato». Sarà l’esame del Dna, ora, a stabilire con certezza che il corpo bruciato sia effettivamente quello di Giacomo. Un ragazzo tranquillo, come tanti, dicono amici e parenti. «Nessun precedente, nessuna frequentazione con ambienti “sospetti” - spiega il dirigente della Mobile, Alberto Intini - e per verificare che non avesse problemi col corso di studi dobbiamo aspettare lunedì quando la facoltà riaprirà. Al momento non ci sentiamo, comunque, di escludere alcuna pista anche se l’ipotesi più accreditata pare essere quella del suicidio».
Insomma, Giacomo, uscito di casa in piena notte, si sarebbe messo alla guida della Bravo in direzione fuori Roma. Verso luoghi che aveva conosciuto bene più di un anno fa quand’era ancora insieme all’ex ragazza, che abita proprio poco distante dal luogo del ritrovamento del cadavere. Una semplice fatalità? In realtà, quella storia Giacomo l’avrebbe chiusa da tempo e, a detta degli amici, senza particolari strascichi. L’unico cruccio del giovane studente, l’altra sera, sarebbe stato il pensiero di un tamponamento avuto nel pomeriggio con un automobilista anziano. «Giacomo - hanno raccontato gli amici - era scosso per quel fatto e preoccupato perchè forse avrebbe dovuto pagare i danni. Forse doveva ancora dirlo ai genitori».

Il ragazzo, dunque - secondo l’ipotesi investigativa -, prende una tanichetta, va al distributore la riempie di benzina. Quindi s’apparta, si stende sul sedile posteriore e con un accendino si dà fuoco. Senza lasciare ai familiari alcun ultimo messaggio. Domani l’autopsia.

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