Carceri, torna a casa un detenuto su 7

Carceri, torna a casa un detenuto su 7

In Lombardia un detenuto su sette potrebbe vedere aprire le porte del carcere con 18 mesi di anticipo per scontare l’ultimo anno e mezzo agli arresti domiciliari. È questo l’effetto in Lombardia del decreto «svuota-carceri» approvato il 16 dicembre dal governo Monti. Il decreto si inserisce sulla scia già avviata dal ministro Alfano che, con la legge firmata il 26 novembre di un anno fa, dava la possibilità di anticipare di 12 mesi l’uscita dal carcere per scontare il residuo di pena al proprio domicilio. Il nuovo decreto ha ampliato la possibilità di ulteriori sei mesi.
In Lombardia lo scorso anno ne hanno usufruito 534 persone di cui la maggior parte a Monza (75), 54 a Bollate, 53 a Como e 47 a San Vittore. Difficile ancora fare una previsione precisa per il prossimo anno ma un dato certo è che ci sono 1398 persone nelle carceri lombarde che finiranno di scontare la loro pena tra 18 mesi. Un numero che non è irrilevante se si pensa che i detenuti in totale sono 9.400. «Tra questi 1398 - spiega il provveditore regionale alle carceri Luigi Pagano - bisogna poi vedere chi è effettivamente nelle condizioni di poterne usufruire». Per poter anticipare l’uscita infatti requisito essenziale ad esempio è quello di avere un domicilio. Un aspetto che pare scontato e che invece non lo è perché un buon numero dei detenuti è extracomunitario e in parecchi casi senza un tetto. Ovviamente non può richiedere l’agevolazione chi è in carcere per tutta una serie di reati ritenuti più gravi come il traffico di droga, l’associazione mafiosa oppure per i delinquenti ritenuti «abituali» o coloro per i quali ci sia un concreto pericolo di evasione. «La Lombardia è la regione che ha il maggior numero di concessioni di misure alternative - spiega Pagano -. E sono queste l’unica strada per il reinserimento nel tessuto sociale, vera garanzia di sicurezza».
Non solo. Il decreto prevede anche che, per reati di non particolare gravità, gli arrestati restino nelle camere di sicurezza della polizia e non vengano più portati in prigione in attesa del processo per direttissima. Evitando il fenomeno delle «porte girevoli» nelle carceri ovvero fare entrare e uscire nell’arco di due giorni un gran numero di persone.
I sindacati di polizia hanno già mosso i loro dubbi, tanto che hanno inviato prima di Natale una immediata replica al ministro dell’Interno e a quello della Giustizia.
«Le camere di sicurezza delle questure più piccole non sono attrezzate. Non riuscirebbero a gestire il problema», spiega Manuele Brignoli, segretario regionale dell’Ugl lombardo. Brignoli ammette che se a Milano non si risentirebbe troppo del problema perché qui il sistema è già piuttosto collaudato, nelle altre città le cose sono ben diverse. «Le strutture sono quello che sono. Avremmo problemi a garantire i minimi servizi a partire dal cibo. Inoltre le stanze non sono videosorvegliate dunque sarebbe necessario il personale addetto al controllo». A Milano anche secondo il procuratore Pagano il fenomeno delle «porte girevoli» non è più così massiccio.

«Nel passato il 40 per cento degli ingressi in carcere era fatto da chi usciva nell’arco di una settimana». Oggi intanto Pagano incontrerà il sindaco Pisapia proprio per parlare della situazione delle carceri milanesi, dalla possibilità di commesse di lavoro per i detenuti agli alloggi per il personale.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica