Cari ragazzi, il posto fisso è un imbroglio

Il capo dello Stato parla di università e lavoro, ma alle nuove generazioni tutti promettono tutele e mai opportunità In pochi però hanno il coraggio di ammettere: solo investimenti nelle imprese e regole semplici possono ridare speranza

Con questo articolo Giuseppe De Filippi, conduttore del Tg5, inizia la sua colla­borazione con il nostro quotidiano 

di Giuseppe De Filippi

Attenzione a rivolgersi ai giovani, perché c’è il pericolo che ci stiano a sentire. Anzi, più del pericolo, quasi la certezza. Sembrano ribelli (lo sappiamo benissimo che non è vero) ma in realtà ascoltano molto più di quanto facciamo finta di crede­re. Per prima cosa andiamoci piano col futuro. È bastato po­chissimo, qualche riferimento, qualche battuta, perfino qualche intervento parlamen-tare, e subito è stato un dilagare di futuro prima negli slogan delle mani-festazioni di protesta e poi, di rimbalzo ( ma anche direttamente, grazie alla visita al Quirinale di un gruppo di manifestanti anti Gelmini), nei discorsi più istituzionali, fino al messaggio del presidente della Repubblica. Con la parola futuro ci si riempie la bocca, basta pronunciarla per assumere toni da visionario. Ma che delusione quando andiamo a vedere come il tema viene declinato. Un crollo doloroso e un po’ avvilente: dalle altezze profetiche si scende repentinamente all’esaltazione del posto fisso (magari da statale). Ecco, tutto si risolve lì. Sembra una specie di mega raccomandazione collettiva, una super richiesta di sistemazione. L’eterno preoccuparsi da genitori ansiosi per il figlio o la figlia che hanno tanto studiato. Il futuro ridotto all’impiego a vita, quello contro il quale si ironizzava in tempi neanche tanto lontani, o che veniva indicato come il principale motivo di alienazione (scusate la parola passata di moda) e perfino come strumento dell’orrendo dominio capitalista. Fantastico questo capitalismo: riesce a dominare prima col posto fisso e poi col precariato. Oppure a essere fantastica è la capacità di non capire niente da parte di chi riesce sempre a dare la colpa di tutto a un’entità inafferrabile, come appunto il capitalismo o il liberismo o la globalizzazione. Qual è il problema? Perché non si riesce a ragionare sul futuro senza assumere subito i toni e l’aspetto di chi sta infilando una busta con un nome e un numero di telefono nella tasca del potente di turno? Perché parlare sempre di garanzie e mai di opportunità? Le garanzie sono pericolose quando vengono dal potere politico, hanno sempre un retrogusto da regime autoritario. Le opportunità sono esaltanti. Perché, volendo impelagarsi sul temaccio del futuro, il presidente della Repubblica non ha ricordato che l’economia si sviluppa con gli investimenti, con le idee, con le regole facili e uguali per tutti, con i trasporti, i servizi e le telecomunicazioni. E non si sviluppa offrendo e moltiplicando solo garanzie e tutele. Quello è un imbroglio che, appunto, ai famosi giovani li fa solo restare sotto tutela. Mentre solo lo sviluppo può risolvere le loro aspettative. A proposito di imbrogli e di futuro: stanno uscendo con sempre maggiore frequenza studi che mostrano come le pensioni dell’attuale generazione di trentenni e anche quarantenni saranno molto più basse, a parità di anni di lavoro e di retribuzione corrente, di quelle di chi li ha preceduti. Dal punto di vista tecnico sono studi banalissimi e dimostrano tesi per nulla sorprendenti. A sorprendere è, invece, come questo esito scontato sia stato tenuto sotto silenzio finché si sarebbe potuto fare qualcosa. Per intenderci: ormai chi doveva andare in pensione con trattamenti molto generosi c’è andato (o comunque ha maturato diritti inossidabili).E non c’è più niente da fare. I geniali studi (non ultimo quello della Banca d’Italia) pubblicati in questi mesi e in queste settimana arrivano tardi. Forse una ventina d’anni fa si poteva ancora tentare un riequilibrio. Certo, si sarebbe dovuto imporre qualche sacrificio allora, ma ricordate il fronte compatto e debordante portato in piazza dai sindacati? Allora i padri si presero la fetta di torta dei figli e se la papparono allegramente. Ormai il guaio è fatto, e ora a colpire i giovani non è tanto l’esiguità delle loro future pensioni ma la beffa di subire tuttora micidiali prelievi contributivi, necessari non per loro ma per mantenere in equilibrio le pensioni pagate correntemente.

Vogliamo ricordare che vent’anni fa, per evitare il giusto riequilibrio delle pensioni, si sfilava, ovviamente in nome del futuro e dei giovani? E allora una modesta proposta: i grandi e grandissimi vecchi ci parlino (con piena sincerità e libertà) del loro passato e non del nostro futuro. È detto con affetto, ne avremmo molto più da imparare.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica