La carica di nonno Maldini «Io, mai stanco di vincere»

«Ho scambiato la maglia con Gento, un altro vecchietto...»

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Riccardo Signori

nostro inviato a Istanbul

La «meglio gioventù» sta nella faccia di Paolo Maldini. Nell’essere un campione e nel non essere un pezzo da repertorio. Sono sette, con questa saranno sette, contava ieri le sue finali davanti a un mondo di giornalisti ed addetti che lo chiamavano familiarmente «Paolo». Come fosse il giocatore di tutti e per tutti: italiani o inglesi, turchi o spagnoli. Gli anni sono quasi 37, appuntamento al 26 giugno, la prima volta ne aveva soltanto venti. Vent’anni per cominciare una collezione da primato. «Sarai tu l’uomo che batterai il mio record», gli ha detto Francisco Gento, otto finali, uno dei galactici ad origine controllata. L’altra sera, nell’hotel di Istanbul che ospita il Milan, c’è stata una sorta di simbolico scambio di maglie. «Mi ha regalato la sua, quella del Real Madrid. Gli ho detto che ne sono onorato ed emozionato. Mio papà mi ha raccontato di quando giocò contro Gento». E il Milan uscì ai quarti della coppa dei Campioni.
Non c’è età per il calcio dei ricordi, ma nemmeno per il calcio dei Maldini. Stasera Paolo ritroverà le sensazioni che in casa fanno museo. La prima volta nel 1989, era il 24 maggio, al Camp Nou di Barcellona contro la Steaua Bucarest. Di tanta squadra Paolo è rimasto unico a sgambettare sul campo. Insieme a Costacurta, che però non è un semprepresente.
Anche in Maldini è cambiato qualcosa? Sì, forse: capelli, forza fisica, interpretazione del ruolo. Ma poi le emozioni? «Prima di giocare sono le stesse. Il cuore batte sempre, forse lo controllo meglio durante la partita. Certo, allora l’approccio era più difficile. Il resto è semplice: ho sempre voluto vincere, senza pensare ai premi personali. Quelli, al massimo, sono una conseguenza. A maggior ragione a 37 anni». L’età non fa ruggine. Lo conferma Seedorf che stasera sarà a caccia della sua quarta Champions (Ajax, Real, Milan). «Maldini è l’esempio perfetto di quanto contino poco gli anni. Non mi pare abbia aspetto da vecchietto».
Maldini ha provato tutto e di tutto: successi (quattro) e sconfitte, squadre di ogni parte d’Europa (Steaua Bucarest, Benfica, Marsiglia, Barcellona, Ajax, Juventus). Gli inglesi mancavano: un pezzo da collezione. Il Liverpool ha un passato, non ancora un futuro. «Però non è disabituato a questo tipo di partite. Tradizione e passato contano. Così come il passato recente del Milan». Il passato recente dice Juventus, due anni fa in terra inglese. Finale goduta, ma meno vissuta. «Non c’è niente che regga il fascino di una sfida contro la squadra di una nazione diversa. Ma oggi siamo più convinti ed abituati a una sfida di questo livello di quanto lo eravamo due anni fa». Ed allora Maldini chiede al Milan tutto quanto chiede a se stesso. Mantenere alto il nome, il blasone, la stella. Magari lo stellone. «Dovremo provare a giocare bene, perché questo è lo spirito che abbiamo da sempre.

Anche se nelle finali conta il risultato. Dicono che stiamo male, ma questo Milan non è così povero come si vuol far credere. E se una squadra vince, giocando male, è segno di grande forza». Compreso? Da Rocco a papà Cesare, buon sangue non mente.

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