da Milano
Sul podio, insieme con i gloriosi Anni 70, è salito pure Carlo Conti. Il suo varietà I migliori anni si è concluso sabato con ascolti record e il merito è stato anche del conduttore che questo progetto l'ha «cullato e coccolato», racconta. «Siamo partiti da una giusta intuizione», prosegue Conti, e cioè un format di qualità targato Endemol che proponeva una sfida tra le passate stagioni musicali. «Ma non ci siamo limitati a intonare qualche vecchia canzone. Ho voluto rievocare intere epoche, riacciuffando protagonisti ormai scomparsi, mode fatte di pantaloni a zampa, occhialoni e scarpe con la zeppa, oggetti come certe radio che oggi sono esposte addirittura nei musei».
Carlo Conti, forse anche per questo avete sbaragliato la concorrenza degli altri canali?
«Mi dicono che la finalissima di sabato è stata una delle puntate di varietà più vista della stagione. E per ottenere quei risultati, il 30 per cento di share, sicuramente siamo stati seguiti da famiglie intere».
Ma il varietà non era morto?
«Bisogna vedere come lo si fa. I migliori anni ha rispettato una formula classica, ma è stato uno show in grande stile, con quaranta ragazzi che ballavano e bei personaggi ospiti di cui la Tv ha perso completamente memoria, come Lando Fiorini».
Si aspettava la vittoria degli Anni 70?
«Sì, perché è stato un periodo particolarissimo, per metà figlio del '68. Ma accanto ai musical di rottura come Hair, ha lanciato anche La febbre del sabato sera e le pose plastiche di John Travolta. Come a dire, due decenni al prezzo di uno».
Che cosa l'ha colpita di più, nell'arco delle puntate?
«Scoprire che i cento diciottenni che componevano la nostra giuria sapevano a memoria canzoni nate quasi vent'anni prima di loro, come Fiore di maggio di Fabio Concato o Furia di Mal».
Gli Anni 70 sono stati incoronati vincitori anche da questi ragazzi, non solo dal televoto.
«I migliori anni ha fatto leva sulla memoria collettiva degli italiani, è stata questa la mossa vincente. E non sono mancati ospiti di richiamo come Gloria Gaynor».
Anche lei, Conti, è ormai entrato nell'immaginario collettivo: con L'eredità sta facendo faville.
«L'ho modellato su di me. Quando iniziai a condurlo volli cambiare la scenografia, i giochi, il ruolo delle vallette. Ma, soprattutto, ho introdotto il ritmo. Da una domanda all'altra, i concorrenti perdono la voglia di scherzare e la tensione cresce, raggiungendo il culmine nella seguitissima manche finale della ghigliottina».
Non è un caso allora, se a fine aprile condurrà il quiz Alta tensione?
«L'avevo lanciato in estate un paio d'anni fa. Un esperimento riuscito che la Rai ha deciso di proporre in alternativa all'Eredità».
Il suo carnet è ricchissimo, il 28 marzo riprenderà anche I raccomandati.
«Credo che sia la trasmissione Rai più longeva attualmente in onda, siamo alla sesta edizione, il numero zero lo realizzai nel 2002».
Non teme la concomitanza di X Factor? Si tratta sempre di esibizioni...
«La tv è come la cucina, gli ingredienti sono sempre gli stessi, ma il sapore del piatto è dato da altro.
Nonostante tanti successi, anche quest'anno arriva Sanremo e lei non sarà sul palcoscenico.
«Lo seguirò da casa. E prima o poi arriverà anche il mio momento».
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