GenovaSul match-program, il librettino distribuito ai tifosi blucerchiati prima della partita, peraltro il più curato e bello della serie A, avevano scomodato addirittura William Shakespeare: «Chi per questa battaglia non ha fegato, che parta pure: avrà un salvacondotto e denaro per il viaggio nella borsa. Non ci piace morire in compagnia di chi ha paura di morir con noi». Per la cronaca, è l'Enrico V, ma qui l'unico Enrico che viene in mente è Enrico Mantovani, il presidente dell'ultima retrocessione della Samp.
Perché, al di là dei tre punti che ancora dividono il Doria dalla zona retrocessione, dopo la sconfitta casalinga con il Cesena, i blucerchiati diventano obbligatoriamente i maggiori indiziati per la serie B per una serie di motivi. Primo: il fatto che mettano in mostra quello che è probabilmente il peggior gioco della serie A, con un attacco inesistente e una difesa che era un punto di forza e sta diventando imbarazzante, il tutto abbinato a un centrocampo dove il migliore è Palombo (giocatore peraltro molto sopravvalutato), che ieri si è fratturato la quarta costola di sinistra. Secondo: la Samp non è assolutamente abituata a lottare per la salvezza e, ignorando il precedente del Chievo che dai preliminari Champions è sceso, non ha mai pensato alla B come a un'ipotesi concreta, rendendola così concretissima. Terzo: la famiglia Garrone c'è e resta, ma il resto della struttura societaria è allo sbando e il direttore tecnico Doriano Tosi, al di là del nome di battesimo, non sembra avere altre caratteristiche adatte allo spirito Sampdoria. Quarto: il tecnico Mimmo Di Carlo è assolutamente inadeguato, sfrutta nel peggiore dei modi l'organico a disposizione - ancora ieri Macheda e Martinez in panchina - ed è riuscito in pochi mesi a collezionare l'eliminazione in Champions League, quella in Europa League, quella in Coppa Italia e il rischio di retrocessione in B. Serve altro?
A fine partita, persino i tifosi della Gradinata Sud, solitamente tollerantissimi e filosocietari, espongono lo striscione «Di Carlo ora vattene». Garrone e Tosi devono lasciare lo stadio scortati dalla Digos, alcuni ultrà provano a fare irruzione negli spogliatoi e il pullman della squadra riesce a lasciare lo stadio solo dopo alcune cariche della polizia, alle 16,20. Persino Tosi che ha sempre difeso Di Carlo anche al di là della logica e dell'evidenza, parla di «giornata devastante» e ammette che la posizione del tecnico è a fortissimo rischio, annunciando 24 ore di attesa prima di prendere «una scelta di buon senso nell'interesse della Sampdoria». Sembra un elegante sinonimo di un esonero già deciso, con l'unica incertezza sul nome del sostituto, con Cagni favorito su Papadopulo, Cavasin e De Biasi. Ma anche un tentativo di arrivare alle dimissioni spontanee del tecnico ciociaro o, quantomeno, a una rescissione consensuale. E pure il ritiro, probabilmente a Roma, a partire da domani, in vista della partita di domenica a Catania, altra partita della vita e scontro diretto per la salvezza, sembra quasi una scelta, persino logistica, per cambiare tutto.
Il problema è che potrebbe essere davvero troppo tardi. Perché Di Carlo, se solo si fosse guardato al gioco e ai risultati, avrebbe dovuto essere esonerato già mesi fa, anziché intestardirsi in una difesa cieca e sorda. E, tranne che per il ritiro venga scelto un santuario mariano attrezzato in miracoli, pare difficile che una squadra come la Sampdoria di ieri - senza idee, senza personalità, senza gioco, senza niente - possa essere rivitalizzata in pochi giorni.
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