Carlo Michelstaedter e i dolori del giovane Ubaldo

di Carlo Michelstaedter
Questa sera vieni al teatro?
No, non ci vengo... non posso venire, non posso - con un risolino di compiacenza.
Non puoi? perché? che succede stasera? hai il tuo solito male di capo?
Ma no, non sono mai stato meglio d’oggi.
O allora? perché mi fai andar solo... pensa che ci sarà sicuro la contessa N. alla quale tu potrai continuare la tua lungi-sospirante platonica corte. E l’amico sottolineava l’ultima frase con un’aria deliziosa di corbellatura.
Ubaldo stavolta non parve risentirsi punto, e assunse una posa di superiorità soddisfatta, da persona che sa qualche grande cosa, cui le basterebbe accennare per confondere l’avversario.
Già!... disse poi con aria di mistero da cui trapelava un indomabile desiderio di raccontar tutto - lasciala fare, ormai...!
Perdio, gridò l’altro colpito ed esilarato, per dio; c’è di meglio allora? Racconta, racconta; e non ti lascio andare se non m’hai detto tutto!
E lo prendeva per un braccio trascinando\ fuori dalla mischia di via Calzaioli nel più spirabil aere di piazza della Signoria.
Ubaldo che non domandava altro cominciò a parlare nervosamente facendosi un po’ rosso e con grandi gesti delle sue grandi mani sgraziate.
Bisogna sapere che Ubaldo viveva tutto in un’atmosfera da romanzo alla NN. e tutte le Domeniche dopopranzo si trovava ai passeggi sfoggiando le cravatte più fantastiche per vedersi passar innanzi la ridda di carrozze ed automobili che portano alle Cascine il bel mondo mondano e aristocratico di Firenze; e gettava a tutte le belle signore sguardi lunghi e languidi coi suoi occhi grandi e chiari e senza luce. Così era immancabile all’uscita dai teatri, ai tea-rooms col suo labbro pendente, i suoi occhi vasti la faccia pallida e protesa un po’ curvo e la cravatta fiammante sul vestito scuro fatto a pagoda. Poi si sceglieva fra la pleiade una bellissima e a quella indirizzava i suoi solitari sospiri, i suoi vani spasimi da adolescente in ritardo. S’illudeva d’amarla; cominciava a declamare sulla crudeltà di lei...

ed era felice, o almeno si diceva tale, allargando ancor più gli occhi, sporgendo sensualmente il labbro e dimenando il corpicino esile con le mani troppo grandi. Gli amici lo tolleravano perché era buono accontentandosi di burlarlo atrocemente.

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