da Locarno
È licona gay per eccellenza, brillante e rassicurante nella sua mezza età. È la musa di Pedro Almodóvar («abbiamo una relazione impeccabile»), il regista spagnolo che lha diretta in pellicole irridenti, la più nota delle quali è Donne sull'orlo d'una crisi di nervi (1988), seguita da Volver (2006). È la star europea più gettonata, ora, stando ai suoi racconti di peperina iberica che parla, parla, mentre si dice contenta dell«Excellence Award» per La Comunidad, commedia di Alex de la Iglesia, presentata al Festival. «Mi sento una regina. E mi piace che il cinema sia unindustria. Ho un rapporto privilegiato con la cinepresa, mio faro. Perché, anche se mi trovo in Messico, perduta tra gli estranei, la cinepresa è sempre la stessa, ad ogni latitudine», commenta Carmen Maura, che gira film «per terapia». Lattrice appena ricompensata per la sua eclettica carriera («ho esordito come presentatrice televisiva, perciò sono popolare e la gente, per strada, mi riconosce»), dal suo esordio, avvenuto a quindici anni, è stata assassina, psicanalista, femme fatale, femmina folle. «Sono unattrice europea, che non studia i copioni come le americane. Né prego, per avere una parte: devono chiamarmi, i registi, se mi vogliono. Mi trucco in cinque minuti e ora sono entusiasta della parte di madre superiora, nel film anticlericale La guerre des saints di Luca Giordano, ambientato in Costa Rica e concepito per la tivù (Artè)». Ma limpegno più prestigioso, per Carmen, sarà in America, dove la star dallimpressionante filmografia, girerà El dia que me quieras, dramma a ritmo di tango sulla vita del cantante Carlos Gardel (Raoul Bova), diretto dal messicano Alfonso Arau. «Lavorare dieci anni con Almodóvar è stato bello, ma... basta!», rivela la Maura, riappacificata col suo mèntore, dopo una lite storica. «Amerei lavorare con Woody Allen, mentre lesperienza con Castellitto fu un disastro».
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