da Roma
Da agosto ad oggi 35mila tonnellate di pollame invendute, quanto la stazza di una petroliera, e perdite pari a 150 milioni di euro al mese. L'Unione nazionale avicoltori conta i danni che l'allarme per l'influenza aviaria sta provocando al settore con il crollo dei consumi, arrivato a quota -60%, e dei prezzi, ridottisi del 50%. Ma che fine fanno tutti i polli che non vengono consumati? «La carne viene macellata, stoccata e congelata - risponde il presidente dell'Una Aldo Muraro - ma la situazione è preoccupante, tra poco anche le celle di congelamento saranno sature e che cosa accadrà in seguito, se davvero l'influenza aviaria dovesse arrivare?». Una volta congelato il pollame potrà rimanere in frigorifero per molti mesi da un minimo di 8 a un massimo di 24 mesi ma il prodotto congelato si sa, in Italia non ha mercato, «dunque la fine di questi polli - spiega Muraro - sarà l'export verso i Paesi in via di sviluppo, a prezzi stracciati, soprattutto verso l'est Europa, l'Africa e magari fino in Thailandia o in Cina, nei Paesi dove l'influenza aviaria ha colpito». Una certa percentuale di pollame invenduto potrà un domani essere destinato anche alla ristorazione mentre le eccedenze come teste, zampe e interiora, già oggi vengono trasformate in mangimi per cani e gatti. «La carne avicola italiana è sicura» insiste Muraro ma le etichette d'origine obbligatorie sembrano non abbiano sortito l'effetto desiderato.
La situazione che si è creata «è solo italiana ed è paradossale rispetto al resto d'Europa - continua Aldo Muraro - sia dal punto di vista del calo dei consumi sia di quello dei prezzi, in quanto se da noi sono scesi del 50% da metà agosto ad oggi, nella maggior parte dei Paesi il fenomeno si è attestato intorno al -3%».
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