
La Sant'Anna Metterza di Masaccio, conservata agli Uffizi, rappresenta un tema religioso, un dogma, in un modo molto specifico, posizionando la Madonna, con il Bambino in braccio, e dietro di lei Sant'Anna, cioè la madre di Maria. Quindi Sant'Anna è in terza posizione, dopo il Bambino che viene esposto davanti a noi, e la madre, che sta al centro. Sant'Anna completa questa struttura a piramide, dando forma a una composizione molto rigorosa, in una architettura precisa, ove il senso della profondità è accennato. Questa struttura ha una valenza simbolica, un significato religioso: infatti un panneggio è sollevato alle spalle della Sant'Anna, come per inquadrarla, sorretto dagli angeli che guardano sotto, nello spazio sacro che stanno ritagliando. Il fondo è d'oro, a rappresentare uno spazio proiettato in un non luogo, nell'eternità, fuori dalla vita terrestre dove si svolge la scena. C'è un senso di idolo antico, nella testa della Madonna; e c'è anche un volume forte, pesante, come di statua romana nel disegno del Bambino, che è l'elemento più moderno di questo dipinto. Un dipinto che emana un senso di verità, di pesantezza fisica, qualcosa che richiama il corpo, come si vede nei due angeli più plastici che sorreggono il drappo porpora, quasi fossero pronti per muoversi in uno spazio terrestre, oltre che nello spazio astratto.
Questa singolare composizione rappresenta la mentalità di Masaccio ventenne, intorno al 1423, ancora legato alla tradizione più antica, che perdura più fortemente in un artista come Masolino. Entrambi lavoreranno alla Cappella Brancaccio, ma qui si distanzieranno, e Masaccio conquisterà più pienamente lo spazio. Prendiamo la Distribuzione delle elemosine e Morte di Anania della Cappella Brancaccio: ci troviamo difronte a una notevole modernità di pensiero. C'è una grande sintesi spaziale nello schieramento delle finestre, nell'idea di un fianco più corto, la finestra mezza chiusa sulla palazzina di fronte, rossa. Masaccio crea uno spazio reale, fortemente prospettico e quasi illusionistico. Mirabile è il dettaglio delle aste lignee che sostengono la sezione aggettante della architettura rossa. I personaggi non hanno più niente di quella dimensione lontana, arcaica, della Madonna e di Sant'Anna: sono un'umanità diseredata, un'umanità vera, sono poveri per nulla nobilitati dall'incontro con San Pietro, che, in fondo, è come loro. San Pietro ha una testa più classica, come ripetuta da una scultura antica, ma quelli che lo seguono, come il San Giovanni Evangelista, che sta subito dietro di lui, vengono dalla vita quotidiana. Masaccio mette in scena la strada, qualcosa che in Giotto non era ancora perfettamente compiuto. Giotto mette in evidenza i corpi nella loro dimensione di volumi, e di simboli dell'umanità, non degli uomini in carne e ossa. Masaccio coglie invece la vita quotidiana, l'animazione di una città del Quattrocento, con l'incontro di personaggi che hanno una dimensione estremamente terrestre. Nell'uomo steso in terra, che sta per essere resuscitato, sentiamo un corpo pesante, abbattuto, vediamo il peso sordo della morte, abbiamo di fronte «il cadavere», pura materia senza spirito. E in questo, come in altri affreschi della Cappella Brancaccio, assistiamo a un dialogo sottile fra l'eleganza di alcuni damerini che passeggiano per scenografie bidimensionali, i personaggi propri di Masolino, e i personaggi di Masaccio, che ricreano uno spazio reale e che hanno forza, energia, vita. Ecco, Masaccio riesce per la prima volta a portare dentro la pittura il rumore della vita, che muove e coinvolge tutti noi: mentre guardiamo, possiamo riconoscerci nei personaggi rappresentati. Si parla di noi in quell'affresco. La madre con il bambino una vera maternità, che diventerà poi un modello per tanta pittura del Novecento italiano, esattamente come quell'architettura diventerà modello per le architetture razionaliste ha una verità assoluta. Il centro del dipinto diventa questo incontro fra la madre e San Pietro, per dirci che il miracolo avviene sulla terra, non in un altro mondo. Più che un miracolo, è un conforto di vita.
Arriviamo a La Trinità, l'opera più compiuta di Masaccio, un pittore che chiude la sua ricerca a ventisei anni, ma che la chiude in modo compiuto, tanto che non è lecito domandarsi cosa sarebbe accaduto se avesse vissuto di più. Nella Trinità raggiunge la sua completezza, e crea anzi un tale fuoco nella civiltà fiorentina, da determinare sgomento. I suoi allievi ideali, da Filippo Lippi a Beato Angelico ad Andrea del Castagno, non riescono a tenere quella tensione. Trasformano, diminuendoli, ognuno nella propria ricerca, alcuni degli elementi che erano completamente armonizzati, in maniera forte e drammatica, in Masaccio. Sulla parete della chiesa di Santa Maria Novella immagina un arco antico, romano, anticipando quindi le ricerche archeologiche della pittura di Mantegna e della pittura successiva. Inventa anche uno spazio in profondità, un coro, dentro cui si pone, ripetendo il modello della Sant'Anna Metterza, la Trinità: il Cristo in croce e, dietro di lui, subito sulla testa, la colomba dello Spirito Santo e il Padre Eterno. Ma mentre nella Sant'Anna Metterza questa composizione poteva sembrare artificiosa, qui sembra nascere in uno spazio calibrato per tenere la croce. Una composizione perfetta che apre la strada alle ricerche prospettiche successive, in particolare a Piero della Francesca. Ai piedi della croce stanno la Madonna e, dall'altra parte, il San Giovanni Evangelista. Più sotto ancora i due committenti, che vivono in un altro spazio, al di fuori del luogo dove avviene questa apparizione.
E infine, nel punto più basso, la scoperta e la dichiarazione della morte, lo scheletro. Dalla morte alla vita eterna, dallo scheletro a Dio, passando per la morte del Figlio, in una parabola che mostra il potente pensiero di Masaccio.
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