Illuminante scoperta di Geminello Alvi. In treno, assorto nei suoi pensieri, sente una signora gridare, a proposito dellaria condizionata che qualcuno vuole più bassa: «Copritevi, non possiamo mica spojarci». E ne trae spunto per dirci, sul Corriere, che il dialetto romano non è più quello di una volta, «dallaffilata eleganza e mai trascinato». Tutta colpa della standardizzazione provocata dalla «demografia degli immigrati e dallabuso di film e tv», sicché la suddetta signora mai parlerebbe come la servetta del sonetto 2235 del Belli, che, per scappare da un prete al quale «jannava una certa fantasia», «scaursamente» urtò «la scrivania». Come se quei versi, al pari di Trilussa o Pascarella, non fossero cesellati con estrema cura, lavorandone il senso, in modo da renderli, insieme, plebei e aristocratici, caustici e allusivi. Del resto, nessuno parlerebbe, nella vita, come leziosamente scrive Alvi, il quale ci informa, sempre in merito alla signora poco incline a «spojarsi», che «qualche denudamento poteva forse ravvivare il viaggio»: di lui, «ben compreso in quella serenità danimo che deriva dallaver appena rimediato un guaio».
Eh sì, a Roma non parlano più come nellOttocento, il lessico sè fatto greve e globalizzato alle orecchie del dorico professore.
Caro Alvi, non ci sono più i dialetti di una volta
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