Caro Francesco,
tutto inizia nell' annus horribilis 1999, l'anno in cui ho visto cose che speravo di non dover più vedere.
Si era tornati in serie B: valutazioni errate, personaggi sbagliati, errori per il troppo amore, un pizzico (e anche qualcosa in più) di malasorte e un paio di arbitraggi ad hoc. tornavo da dove ero partito molti anni fa.
Durante quell'estate, uno dei più grandi successi musicali era una canzone di tal Jarabe de Palo: la Flaca. Non mi scorderò mai un mio collega genoano che mi dice: «Ti piace questa canzone perché avete comprato Flachi?». All'epoca ti ritenevo il classico oggetto misterioso, accompagnato dal solito commento «talentuoso ma discontinuo». Di quella stagione ho impresse ben poche cose: il tuo gol in fuga solitaria in coppa Italia contro il Palermo e quella maledetta palla persa a Bergamo che generò il contropiede del pareggio atalantino. Forse, se non avessi perso quel pallone, saremmo tornati in serie A molto prima. Forse. Ma più probabilmente non avresti avuto modo di diventare l'anello di congiunzione fra quella Sampdoria e questa Sampdoria; società diversa, squadra diversa, allenatore diverso e solo un punto fermo: tu. Dalla A sfiorata con un dito alla C evitata per un soffio, passando anche per un possibile fallimento societario. A pensarci bene, forse è andata meglio così.
Tu crescevi e la Sampdoria stentava, arrancava. Ma la hai tenuta a galla insieme a quel manipolo di combattenti che, chi con più onore e chi con meno, l'ha salvata dalle sabbie mobili di una seconda retrocessione, in una categoria che per fortuna, a Genova, è stata conosciuta solo da quegli altri.
Poi arriva la nuova Sampdoria, quella che centra la promozione al primo tentativo, che al primo anno di A arriva ad un passo dall'Europa per poi guadagnarla l'anno successivo, sfiorando l'impresa del quarto posto.
E tu eri lì, ad accompagnarla per mano con le tue giocate, i tuoi assist, le tue rovesciate e i colpi di tacco, i tuoi «rigori della paura» al novantesimo sotto la sud. e le tue corse sotto la gradinata, a prenderti gli applausi da un pubblico che ti aveva eletto simbolo, dopo che altre bandiere erano state ammainate.
Le tue parti di responsabilità te le sei sempre prese, nel bene e nel male: hai pagato per le cose che hai sbagliato, hai gioito e sei stato gratificato in tutto quello di buono che hai fatto per la Sampdoria.
Lo so, ti sto parlando come stessi parlando ad un figlio: in realtà ho solo un paio di anni più di te, ma ti reputo figlio di questa squadra e io come tifoso, magari a torto, mi sento parte di questa; e così come un padre deve essere pronto a punire un figlio quando sbaglia, deve essere altrettanto pronto a non lasciarlo solo, ad aspettarlo e a volergli bene più di prima una volta terminata la punizione. E a perdonarlo.
Tu non ci hai lasciati soli nel momento del bisogno, io come tifoso non ti lascerò solo in questo momento.
La vita, fra le altre cose, è fatta di ricordi e di speranze: io ti voglio ricordare in piedi sulla balaustra sotto la sud a festeggiare con noi un gol. e voglio sperare di potertici rivedere presto.
In bocca al lupo Francesco.
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