Caro maschio, l’arte è donna Parola di Vittorio Sgarbi

Caro maschio, l’arte è donna Parola di Vittorio Sgarbi

Dice Vittorio Sgarbi che «un libro di storia dell’arte potrebbe essere quasi esclusivamente un libro sulla donna, tanta è la quantità di opere che la donna ha ispirato dal mondo antico al mondo moderno». Si potrebbe obiettare che la donna è un soggetto così frequente perché a dipingere o a scolpire sono sempre stati per lo più gli uomini. In realtà non è così vero.
In questo momento si rivolge molta attenzione al mondo delle artiste donne, che sono assai più numerose di quanto a prima vista non appaia: Artemisia Gentileschi, Elisabetta Sirani, Giovanna Garzoni, Rosalba Carriera, Elisabeth Vigée-Le Brun, Marie Laurencin, Camille Claudel, Emma Ciardi, Sonia Delaunay, Frida Kahlo, Felicita Frai, tanto per dare un rapido sguardo alla storia dell’arte. Ebbene, anche le artiste dipingono soggetti femminili e non è detto che le Cleopatre e le Giuditte e le Samaritane e le Salomè dipinte dalle donne siano solo un omaggio ai modelli della pittura maschile. Anzi, il diverso sguardo dell’artista donna sulle donne meriterebbe forse un’indagine in più. Sarebbe mai riuscito un pittore a dipingere una donna con tanta crudeltà, come fa la Gentileschi, ritraendo una spietata Giuditta che con fredda ferocia affonda le lama nella gola dell’indifeso Oloferne né si ritrae di fronte al sangue che schizza ovunque?
No, l’artista uomo è sempre innamorato del soggetto-donna. Che sia Carlo Crivelli di fronte alle sue Madonne giovinette circondate da un tripudio di fiori e frutti, o che sia il Parmigianino (che pure pare non prediligesse le donne) di fronte alle sue Madonne aristocratiche e vanitose, dal collo lungo come le modelle di Modigliani, l’artista dipinge la donna con sentimenti che vanno dalla venerazione all'emozione. Sentimenti che ben coglie e sottolinea Vittorio Sgarbi titolando la sua ultima opera di storia dell’arte Piene di grazia (Bompiani, pagg. 308, euro 20, in uscita il 16 novembre; in questa pagina pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione). Vergini o adultere, angeliche o carnali, Madonne o peccatrici, le donne dell’arte sono innanzitutto irresistibili seduttrici. Mi pare sia lo stesso Sgarbi a confessare in qualche suo scritto di essersi innamorato adolescente della marmorea Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia, slanciata come una modella di oggi, mentre lo scrittore Antonio Baldini confessò una pericolosa tentazione di fronte alle morbide, illusorie carni di un’altra beltà di marmo: la Paolina Borghese del Canova adagiata sulla dormeuse («Paolina fatti in là»).
Da Moroni al Lotto, da Dürer a Tiziano, i grandi pittori nei secoli hanno dipinto stupendi ritratti maschili. Ma esiste un ritratto maschile che possa competere con l’Annunciata di Antonello da Messina, col suo enigmatico sguardo obliquo e abbassato, quell’emozione segreta, accennata nell’atteggiamento della bocca, quell’ovale perfetto incorniciato dal manto blu? «Il velo serrato sul capo come un burqa segna come una chiusura che è già grembo, che è già il Gesù che è dentro di lei», scrive l’autore.
In un altro suo piccolo libro che rivela uno Sgarbi «segreto» (Dell’anima, Bompiani 2004), l’autore afferma che è solo nell’arte l’eternità dell’uomo, è l’arte la nostra anima immortale. E dunque è in una delle donne dipinte e scolpite fatte scorrere dall’autore davanti al nostro sguardo che dobbiamo cercare la rappresentazione dell’anima. Non la cercherei nelle Danai e nelle Flore voluttuose di Tiziano e nemmeno nelle bambine ambigue di Balthus. Risiede forse in una fanciulla bionda che dorme e sogna in una camera illuminata da una luce aurorale. «Ursula pura» la chiama Giovanni Pascoli nei Primi Poemetti. È nel Sogno di Sant’Orsola nei nove teleri delle Storie dipinti da Vittore Carpaccio che possiamo leggere la nostra illusione di immortalità.

In quel viso chiaro appoggiato alla mano che esce dalla nitida coltre, le pantofoline accostate al letto, in perfetto ordine. Il martirio è vicino ma Orsola dorme «in una condizione di beatitudine e di innocenza». Come vorremmo fosse l’eternità della nostra anima.

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