(...) serve per non dire un nome e un cognome: «Silvio Berlusconi». Tranquillo, quel nome lo dico io.
Ma lo dico per invitarla in redazione a leggere lintera raccolta del Giornale di Genova e della Liguria. E si accorgerà che, come rivendichiamo di aver appoggiato spesso e di appoggiare ancora Silvio Berlusconi quando è il caso, così non ci siamo mai tirati indietro quando cera da criticare il Cavaliere. Che non è infallibile, che fa errori, che altri ne farà e che, quando li farà, sarà ulteriormente criticato da noi. Nel mondo liberale, caro professor Doria, funziona così. Non si ragiona per schieramenti o per partito preso. Ma sui singoli fatti, sui singoli comportamenti e sulle singole parole.
Non è difficile, vero? Mica finita. Venendo al merito, lei ha perfettamente ragione a non sentirsi obbligato a rispondere a tutte le domande della stampa. Vede, ritengo una vera violenza vedere le scene televisive dove inviati con il sangue agli occhi cercano di carpire ogni virgola dagli sventurati politici interpellati. Che, qualora non rispondano, vengono bollati come cattivoni. Anche se magari, in quel momento, stanno mangiando con i propri cari o stanno parlando con un interlocutore. Più che una sacrosanta richiesta di trasparenza, quelle scene, mi sembrano ordinaria maleducazione. Detto questo, però, credo che gli stessi politici, al termine del pranzo o della conversazione, possano tranquillamente rispondere alle curiosità dei cronisti. In particolare, questa richiesta riguarda i candidati sindaco. Che, proprio per il loro ruolo, sono investiti di una responsabilità particolare. Come è possibile votare un candidato piuttosto che laltro senza sapere come la pensa su fatti genovesi, sulla sicurezza o sul gassificatore? Il che - caro Doria - è ben diverso dal chiederle conto delle inchieste pugliesi su Nichi Vendola, come pure è stato fatto in questi giorni. Comportamento da cui Pierluigi Vinai ha, giustamente e nobilmente, preso le distanze come può leggere proprio qui a fianco.
La responsabilità penale è personale, i problemi di una città, per definizione, sono problemi collettivi. E non credo che un sindaco possa chiamarsene fuori. A maggior ragione, un candidato sindaco che, per definizione, deve spiegare le sue idee a chi è chiamato a giudicarlo con un voto democratico, il più alto e nobile degli esercizi.
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