Ah! Quanto poco bene si vuole in Italia alla letteratura di genere, o più in generale alla letteratura che la gente legge davvero. Basterebbe questa prospettiva per fare di Carolina dei delitti (Salani), a firma di Lia Celi, un giallo, e quindi letteratura di genere, in cui vale la pena ficcare la testa mentre si sta sotto l'ombrellone. I protagonisti principali sono infatti due: una viva e uno morto. Quello morto è Emilio Salgari, appena ritrovato con il ventre e la gola tagliata in uno dei burroncelli del bosco di Val San Martino, a Torino. Salgari straziato nel bosco, come prima straziato dai debiti, malmenato dai critici, azzannato da una scrittura forsennata e nevrotica che gli editori affamanti incoraggiavano.
Quella viva invece è Carolina Invernizio, il contraltare di Salgari. Anch'essa enormemente prolifica di romanzi carichi di peccato e sangue, amatissima dal pubblico femminile, odiatissima dai critici, tanto per cambiare - Gramsci la definì «onesta gallina della letteratura popolare» - e malmenata dagli intellettuali, addirittura scomunicata per aver osato scrivere, da femmina, quello che, pruriginosamente, tutti vogliono leggere. Ecco, Lia Celi, raccontando come venivano trattati due degli scrittori più influenti di inizio secolo, e immaginando un giallo in cui l'Invernizio indaga sulla morte di Salgari, ha giusto per questo messo su carta una riflessione non da poco sullo snobismo culturale del nostro Paese. Che è ancora tutto lì, uguale, triste.
Ma questo giallo, ambientato nella Torino del 1911, ha molti altri pregi. Scritto con acribia e minuziosa precisione storica, porta in scena un sacco di personaggi, si trasforma nel teatro di un'epoca. C'è un esangue Guido Gozzano che piace alle signore e cavalca garbato la sua fragilità. C'è Gina Lombroso, che si muove tra orgoglio femminile, scienza e retaggi paterni, c'è la guerra di Libia e il dolore insanabile dei reduci dal disastro di Adua, ci sono le prime dive del cinema e la miseria delle sartine. Insomma, si fa un viaggio nel tempo, guidati dalla gran dama del romanzo popolare, Carolina Invernizio appunto, e da sua sorella Vittorina, assurta nel romanzo al ruolo di un Dottor Watson, molto più puntuto e perspicace del socio di Holmes.
Il meraviglioso tableau vivant con sullo sfondo l'Esposizione internazionale di Torino del 1911, è caratterizzato da molte gonne e trine fruscianti e da una sensualità tutta femminina che, forse, sarebbe piaciuta anche alla Invernizio. Soprattutto non mancano mai eleganti cappelli per signora, sotto cui nascondersi, per riuscire a prendersi la libertà che un mondo molto maschile ancora nega. E questo è l'altro pregio del libro: raccontare la fatica che facevano (che fanno?) le donne intelligenti e libere a ritagliarsi lo spazio che ai maschi è più naturalmente concesso. Ma senza stereotipi e senza forzare i personaggi in ciò che nel 1911 non potevano essere, anzi mettendo in luce tutte quelle capacità di compromesso e pazienza che consentirono alla Invernizio di scivolare con successo attraverso il suo tempo. Capacità che Salgari, purtroppo per lui, non aveva.
Ovviamente il romanzo si concede anche qualche libertà di lieto fine, soprattutto nei destini dei membri dell'infelice famiglia Salgari, a partire dalla
moglie dello scrittore, Ida Peruzzi che nella realtà pagò un prezzo altissimo per il legame con lo scrittore. Ma un po' di lieto fine si può averlo, anche se la critica storce il naso. Salgari lo avrebbe voluto per la sua Ida.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.