La Lega forza la mano al Pdl, per ora più nella dialettica che nella sostanza. Ed è da leggere in questo gioco delle parti l'altolà che ieri Berlusconi ha dato all'amico Bossi che aveva insultato l'unità d'Italia e rispolverato il tormentone della Padania libera.
Non che il premier sia particolarmente turbato dagli eccessi verbali del leader leghista (ne conosce e riconosce la non pericolosità) ma il momento richiede il massimo di rispetto anche formale delle regole del gioco. Chi oggi leggerà nelle parole di Berlusconi a difesa dell'unità d'Italia la rottura definitiva dell'asse del Nord si sbaglia come al solito. Semmai c'è una attenzione ai turbamenti del capo dello Stato per le esternazioni (ormai goliardiche) dei vertici legisti. L'inverso, invece, si può dire per la situazione interna della Lega. Le parole rassicuranti di unità di vedute e intenti pronunciate ieri al termine del vertice tra Bossi e i suoi colonnelli non convincono nessuno.
Dentro il Carroccio il caos resta grande. Bossi
ha bisogno di tempo per ricucire gli strappi degli ultimi giorni e
riprendere così il controllo della situazione. Così il vertice della
verità tra lui e Berlusconi è stato rinviato a lunedì prossimo, giusto
in tempo per proporre insieme le modifiche alla manovra finanziaria.
Fino ad allora sarà un continuo stop and go per marcare il territorio: pensioni sì, pensioni no, ipotesi di tagli e veti si accavalleranno ad uso esclusivamente mediatico.
A preparare il terreno all'incontro, per il Pdl, sarà Angelino Alfano,
neo segretario e delfino designato. Compito non facile ma benedetto
senza se e senza ma da Berlusconi. Nel bailamme
di questi giorni Alfano è l'unico, insieme a Gianni Letta, ad avere
mandato pieno a trattare con alleati e opposizione, forte dei suoi buoni
rapporti personali con il Quirinale che con Roberto Maroni.
Dall'opposizione invece non c'è da aspettarsi nessun contributo. Le sue proposte sulla manovra (a ore le sapremo ufficialmente) non riescono ad andare oltre il tentativo di disarcionare Berlusconi e il suo governo. Ipotesi probabilmente utile a Bersani e ai suoi aspiranti ministri, ma non al Paese. Anzi, se la Banca centrale europea ci sta aiutando comprando a mani basse i nostri titoli di Stato è proprio perché si fida (lo ha messo per iscritto) del premier e della ricetta proposta dalla maggioranza. Qualche cosa vorrà pur dire.
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