Da carrozzone pubblico a colosso da 18 miliardi

Non esistono aziende uguali tra loro. Ma ce ne sono alcune che sono più diverse delle altre. Come Finmeccanica. Un gioiello con ricavi per 18 miliardi e 73mila dipendenti, che opera nei settori strategici di sicurezza, aerospazio e difesa con una gamma di prodotti che non ha eguali nel mondo. Nemmeno giganti come Boeing o Lockheed operano sul mercato con una tale varietà di offerta. Elicotteri, aerei, radar, treni, segnalamento, energia, elettronica per la difesa, cingolati. Tanto nel settore militare quanto in quello civile. Per questo e per il fatto che in questa gamma di attività sono presenti prodotti militari la cui produzione e distribuzione è regolata dalla legge, lo Stato non è mai uscito dal capitale del gruppo e, dopo la privatizzazione, ne continua a controllare il 30,2%. Ma di certo Finmeccanica non è più quella sonnecchiosa conglomerata pubblica che era fino agli anni Novanta.
Dal 2002 al suo timone c’è Pierfrancesco Guarguaglini, presidente e ad. Un ingegnere 73enne che della stirpe dei boiardi di Stato ha ereditato solo il sospetto di esserne uno degli ultimi esemplari. Perché se c’è un manager di nomina diciamo pure politica, che ha proiettato un’ex azienda pubblica nel ristretto gruppo della grande industria mondiale, questi è l’ingegner Guarguaglini. In azienda da 50 anni, quando nel 2002 ha preso le redini del gruppo, Finmeccanica fatturava 7 miliardi, divisi a metà tra militare e civile. Oggi i ricavi sono 18 miliardi, per l’82% da prodotti di natura militare e per il 18% civile. E in questi 7 anni ha versato con regolarità il dividendo, per un totale di oltre 320 milioni. Così, tra governi di destra e sinistra, Guarguaglini si è guadagnato amicizie, fiducia e riconferme.
Nel 2004 ha rilevato l’inglese Westland, fondando Agusta Westland, oggi leader mondiale nell’elicotteristica. Nel 2008 ha comprato la statunitense Drs, una delle principali fornitrici di tecnologia militare del Pentagono. E così facendo ha creato, per il suo gruppo, tre mercati domestici al posto di uno: all’Italia si sono aggiunti Usa (con 12mila dipendenti) e Regno Unito (altri 10mila). Nello stesso tempo Finmeccanica non ha dimenticato di lavorare né con il mondo arabo, né con l’ex potenza sovietica. Così, peraltro in piena coerenza con la politica estera italiana che ha siglato la pace con la Libia di Gheddafi e stretto solidi rapporti nella Russia di Putin, anche Finmeccanica ha fatto affari in Libia (segnalamento ferroviario), in Russia (progetto per un aereo da trasporto regionale civile con il colosso Sukhoi), nonché negli Emirati Arabi Uniti (fornitura di jet addestratori). Una vivacità geopolitica che va di pari passo con quella dell’Eni, il gruppo energetico le cui mosse internazionali rappresentano da sempre una sorta di guida per la stessa diplomazia nazionale. Non è un caso che l’Eni sia particolarmente attiva in molte delle stesse aree, a cominciare proprio da Libia e Russia.
Detto tutto questo, è concreta l’ipotesi che l’attivismo internazionale di Guarguaglini, unito al successo ottenuto, possa avergli generato più di qualche nemico dentro e fuori i confini nazionali. Ed è un fatto che il cambio dell’amministrazione Usa sia stato particolarmente problematico in casa Finmeccanica. Basti ricordare il caso della gara dell’elicottero presidenziale, aggiudicata alla cordata Finmeccanica-Lockheed da Bush e poi annullata da Obama per motivi ufficialmente economici, ma in realtà presunti tali. Il tema appare piuttosto quello dei diversi interessi industriali e finanziari entrati in gioco con il ritorno dei democratici alla Casa Bianca. In questo può non essere nemmeno molto gradito l’iperattivismo in Russia. Di qui il sospetto che le vicende delle ultime ore possano aver trovato una sponda al di là dell’Oceano. Di sicuro, da ieri, il futuro di Guarguaglini è più incerto: contro la sua riconferma, fissata per la primavera del 2011, è partito un bel siluro.

Il nome di Flavio Cattaneo, numero uno di Terna (la rete elettrica nazionale dove gli è riconosciuto di aver fatto un gran lavoro) già raccoglie molti consensi. Mentre la soluzione della continuità, quella data dal direttore generale Giorgio Zappa, appare più difficoltosa.

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