La carta ha un’anima (e l’anima non muore)

La carta ha un’anima (e l’anima non muore)

Rubo il pensiero al Foglio di ieri: «Si può vivere senza giornali? Certo, così come si può vivere senza Eschilo e Shakespeare, o senza opera lirica, senza Mozart e senza Rossini. Ma un mondo senza Eschilo e senza Shakespeare, senza Mozart e senza Rossini e senza giornali di carta e inchiostro sarebbe un mondo più povero, più triste, più piatto, più scemo». Mi permetto di aggiungere qualche altro parallelo solo in apparenza di più basso livello: sarebbe come vivere senza gite in bicicletta perché tanto ci sono le moto; senza andare al cinema perché tanto puoi vedere il film a casa tua in dvd; senza la buona cucina perché tanto puoi alimentarti con pillole e bustine.
Un mondo senza giornali di carta - che viene da più parti annunciato come inevitabile e imminente - sarebbe un mondo insipido, incolore, e maledettamente uniforme, nel senso che ci priverebbe di qualcosa che fa parte della nostra identità. Sto parlando naturalmente dei giornali veri, quelli a pagamento: la free press non c’entra nulla con questi discorsi. Ogni consumatore, ogni cliente, e quindi anche ogni lettore, ha a cuore solo il prodotto che paga: quello che gli viene regalato, lo considera senza valore. E quindi: perché i giornali veri, quelli che si pagano, hanno a che fare anche con la nostra identità? Lo spiegava bene sempre il Foglio di ieri: «C’è stato un tempo in cui il giornale, che venisse esibito in tutta la sua largheggiante ampiezza o (molto meglio) spuntasse piegato, falsamente discreto, dalla tasca posteriore dei pantaloni, o da una borsa femminile, il giornale, dicevamo, era parte integrante dell’identità di una persona». C’era chi esibiva l’Unità, chi il manifesto e chi Lotta continua, ed erano tre maniere differenti di mostrarsi «di sinistra»; a destra Il Secolo d’Italia aveva ben pochi lettori ma tenerlo sotto braccio era un segno di coraggio, e anche i liberali e moderati del Giornale sapevano di rischiare il cranio mostrandolo a passeggio. Fuor di politica, è un segnale di appartenenza (a un territorio, a una cultura) anche l’acquisto del quotidiano locale: non a caso gli editori fanno salti mortali, d’estate, per farlo trovare anche nelle edicole delle località di vacanza.
Ecco perché credo che né la tv né Internet né i telefonini ammazzeranno i giornali di carta. Perché i giornali di carta approfondiscono di più.

Perché possono essere letti anche sul tram. Perché danno un’idea di autorevolezza. Perché la carta resta e non vola via. Perché la parola stampata è un piacere. Ma, soprattutto, perché i giornali di carta hanno un’anima.

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