Il cartellino rosso vale solo se si pende a destra

La tanto sbandierata tolleranza a sinistra puntualmente s’incrina quando qualche dirigente o militante va a calpestare la linea bianca dell’ortodossia. Che per alcuni continua a dividere il Bene dal Male come negli anni cupi della dottrina di partito nonostante le ripetute svolte liberal annunciate, ma mai concretizzate al di là di generici richiami a Kennedy e a Gandhi per crearsi un’immagine di moderni riformisti.
La verità è che da Bologna a Venezia, passando per Roma, nell’Unione riemergono le sanzioni e le espulsioni per chi appoggia un candidato sindaco moderato come Massimo Cacciari o un amministratore come Sergio Cofferati che persegua una linea di rispetto alla legalità. Guai poi se un esponente dei Comunisti italiani si permette di partecipare a un corteo di solidarietà a Israele minacciato di distruzione dalla teocrazia di Teheran. Tre casi emblematici legati, se si guarda bene, da un unico filo: sono atti che i vecchi schemi della politica classificherebbero di «destra». Allora i conti non tornano.

Se appoggiare i Cofferati costa l’espulsione dai Verdi, andare a gridare «Bush assassino» e passare alle vie di fatto con i poliziotti in Val di Susa può finire al massimo con un paterno rimbrotto. Anche se si indossa la fascia di sindaco o se si siede in Parlamento. Insultare e menare le mani, quando viene considerato un gesto di «sinistra», è sempre segno di passione.

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