I sondaggi (siamo ancora costretti a ragionare sulla base dei sondaggi nel mentre, ripetutamente, la realtà ha dimostrato come in politica la loro affidabilità sia prossima allo zero) ci dicono che negli Usa la popolarità di George W. Bush è ai minimi storici la qual cosa induce frettolosi analisti a immaginare una débâcle repubblicana sia nelle prossime «mid term elections» novembrine sia nel 2008, allorquando il tanto vituperato presidente, non potendosi presentare una terza volta, dovrà essere sostituito.
Ora, dopo avere ricordato che assai spesso le votazioni che cadono a metà del mandato dellinquilino di White House, a qualsiasi partito appartenga, portano a un ridimensionamento del numero dei parlamentari a lui politicamente vicini (accadde perfino, limitatamente alla Camera, al tanto amato ed esaltato dai media John Kennedy nel 1962) e che, quindi, nel caso ciò si verificasse nuovamente non ci sarebbe nulla di strano, occupiamoci in prospettiva della importantissima campagna che in vista del «primo martedì dopo il primo lunedì» del novembre 2008 - giornata elettorale fissata dalla legge - si aprirà nei due campi avversi tra pochi mesi.
Ovviamente, la domanda alla quale si deve dare risposta è: ma davvero in quella data un democratico riuscirà ad aprirsi la strada per la Casa Bianca ed entrarvi il 20 gennaio 2009?
Ora, nella lunga storia dei confronti elettorali presidenziali (iniziati nel 1856) tra i due partiti egemoni negli Stati Uniti, normalmente e contrariamente a quanto opina la maggioranza degli osservatori, è il candidato repubblicano a prevalere. Così, il Great Old Party ha portato a White House a seguito di una votazione popolare sedici suoi esponenti (nellordine, Abraham Lincoln, Ulysses Grant, Rutheford Hayes, James Garfield, Benjamin Harrison, William McKinley, Theodore Roosevelt, William Taft, Warren Harding, Calvin Coolidge, Herbert Hoover, Dwight Eisenhower, Richard Nixon, Ronald Reagan, George H. Bush e George W. Bush) contro nove democratici (James Buchanan, Grover Cleveland, Woodrow Wilson, Franklin D. Roosevelt, Harry Truman, John Kennedy, Lyndon Johnson, Jimmy Carter e Bill Clinton).
Di più, quasi sempre, gli aderenti al partito dellasino (i repubblicani hanno invece per simbolo un elefante) prevalgono solo in condizioni del tutto particolari e basti qui ricordare che Wilson nel 1912 vinse in ragione del fatto che gli avversari si erano divisi tra i sostenitori delluscente Taft e del «cavallo di ritorno» Theodore Roosevelt; nel 1932, allorché si affermò il secondo Roosevelt, si era in piena Grande depressione; Lyndon Johnson profittò dellemozione conseguente allassassinio del suo predecessore e Carter si impose sullonda degli echi dello scandalo Watergate.
Poi, da tempo e per motivi diversi (tra i quali quelli religiosi e quelli del conservatorismo politico ed economico hanno grande rilievo), i repubblicani si impongono abbastanza nettamente in tutti gli Stati del Sud americano e del Middle West raccogliendo un numero di delegati tale che ai democratici le roccaforti del New York e di alcuni Stati limitrofi sull'Atlantico da una parte, della California e degli altri territori collocati sul Pacifico dall'altra non bastano.
Infatti, guardando al più recente passato, i due «asinelli» che sono riusciti a vincere venivano dal Sud (Carter dalla Georgia e Clinton dall'Arkansas), la qual cosa permetteva loro di strappare ai rivali qualche Stato meridionale da aggiungere a quelli normalmente già «in dotazione» a ogni democratico.
Alla luce di quanto sinora esposto, ove in campo democratico non si faccia strada un finora non identificabile nuovo Bill Clinton capace di sfondare al Sud e nel Middle West (e non sarà certo in grado di farlo, eventualmente, la mogliettina Hillary Rodhan, che, a parte i media, nessuno fuori da New York e Boston in verità si fila e che se 'nominata' andrebbe incontro a una vera débâcle), se dalla guerra in Irak in qualche modo si riesce a uscire, per il 2008 si deve prevedere un nuovo successo repubblicano.
Chi scrive ha un sogno: un ticket composto da Rudolph Giuliani e Condoleezza Rice. Un italo americano per la presidenza (sarebbe la prima volta) e una nera per il ruolo di vice (anche questa una grandissima novità).
Staremo a vedere.
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