Una casa contesa e beghe familiari: 44 anni di giudizio

«Ricordo ancora quando da bambina, ogni tanto andavo in tribunale ad accompagnare mia mamma: non capivo molto di quello che mi stava accadendo attorno, ma mi aveva colpito quel grosso fascicolo sul tavolo del giudice, perché ho avuto la sensazione che, tra tutti, se lo palleggiassero un po’. È incredibile. Tutto è iniziato quando ero bambina ed è finito solo otto anni fa». Piera Datta, allora dodicenne, oggi è una distinta pensionata torinese. La sua è una vicenda-simbolo di una giustizia che si impantana nel dissesto procedurale. Quarantaquattro anni per stabilire se fosse stata corretta la gestione di un immobile nel quartiere Crocetta di Torino e in che modo lo stabile dovesse essere diviso. «Tutto è cominciato nel 1957 -racconta la signora Datta - quando mio zio Piero chiese a Giovanni, mio padre, il rendiconto dettagliato dell’amministrazione dello stabile in usufrutto a mia nonna, la loro mamma». L’anno dopo, insoddisfatto delle risposte del fratello, che peraltro di mestiere faceva l’amministratore condominiale, Piero, cita in giudizio Giovanni.

Una ventina di giudici si è occupata del caso in tutti questi anni e solo nel 2003 la Corte di Appello di Milano ha messo la parola fine alla vicenda riconoscendo 25mila euro di risarcimento a Piera Datta per le lungaggini processuali di una causa che si basava su «presupposti sbagliati e quindi non si sarebbe dovuta iniziare».

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