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Casa a Montecarlo, c'è la prova che Fini mente Lui querela: calunnie. Noi pubblichiamo le carte

Due ex dipendenti di uno storico negozio di Roma ricordano l’acquisto: "Fini venne alcune volte". Il portavoce dell'ex leader di An querela, ma il Giornale conferma tutto.  Le testimonianze che smascherano le bugie di famiglia. Oltre 50mila firme (1-2). Aderisci (il modulo)

Casa a Montecarlo, c'è la prova che Fini mente 
Lui querela: calunnie. Noi pubblichiamo le carte

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica


Roma
- Chi ha arredato la casa di Montecarlo, quell’appartamento ereditato da An e finito in affitto a Giancarlo Tulliani dopo esser stato svenduto a una finanziaria off-shore? Abbiamo scoperto che a seguire acquisti e progettazione, in un negozio di mobili della capitale, è stata Elisabetta Tulliani. Accompagnata, in almeno due occasioni, dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Parliamo del 2009, quando la controversa cessione da An alla Printemps era già cosa fatta. E i lavori di ristrutturazione della casa erano prossimi a iniziare.

Tra le mille segnalazioni a margine dell’inchiesta del Giornale sull’affaire immobiliare monegasco, diverse puntavano nella stessa direzione: a ovest della capitale. Dove ha sede un grande centro arredamenti, uno storico negozio alle porte di Roma. Lì in tanti, anonimi, giuravano di aver visto la terza carica dello Stato insieme alla compagna dietro le vetrine del negozio. Tante «soffiate», niente di più. Sufficienti, però, a indurci a cercare qualche riscontro. Al telefono risponde uno degli impiegati. La domanda è secca: «Elisabetta Tulliani o Gianfranco Fini sono tra i vostri clienti?». Qualche secondo di silenzio, poi: «No, guardi, niente da dire». Insistiamo: «Quindi smentite?». «Eh, no, non smentiamo, non confermiamo, niente da dire». Qualche ora dopo riproviamo. Stavolta almeno la voce ha un nome, «sono Davide Russo, sì, lavoro qui, dica». Replichiamo la domanda, e la prima risposta è la stessa. «Non abbiamo niente da dire, ci dispiace». Poi dopo una pausa arriva un distinguo: «Guardi, la nostra azienda non ha fatto consegne o spedizioni per conto di Fini a Montecarlo». Vero che da giorni non si parla d’altro, ma la giustificazione preventiva suona curiosa e porta a galla un’altra domanda: «Niente spedizioni vuol dire che invece Fini o la sua compagna hanno fatto acquisti da voi?». Silenzio, di nuovo. «Ci dispiace, nulla da dire». La titolare è in vacanza, non reperibile. I dipendenti abbottonatissimi. E la «pista del mobilio» sembra destinata a restare chiusa in un cassetto, almeno il negozio è adatto allo scopo.

E invece, a sorpresa, il giorno dopo qualcuno ci contatta. Si presenta con nome e cognome, dice che è un ex impiegato, proprio di quel negozio, ha una storia da raccontare, chiede di mantenere l’anonimato, ma assicura: «Sono pronto a confermare con chiunque tutto quello che so, e che so perché ho visto». Ci chiede di incontrarlo, ma prima del rendez-vous la riunione si allarga. Perché anche un altro ex dipendente dello stesso negozio si fa avanti per dire la sua. Due versioni, manco a dirlo, che raccontano la stessa storia. E aprono nuovi dubbi su quanto Gianfranco Fini ha detto riguardo all’affaire della casa di Montecarlo. Ecco cosa i due testimoni dicono di aver visto.

«Era marzo del 2009 - racconta il primo - quando per la prima volta notai quella cliente, nel negozio, una bella signora, ma non la riconobbi». «Io sì, era Elisabetta Tulliani», interviene il secondo. Che spiega come «non era una novità vederla. I Tulliani sono vecchi clienti dell’azienda. Negli anni ’90, vennero a fare acquisti anche con l’ex fidanzato della signorina, Luciano Gaucci». «Poco dopo quella prima volta, le visite cominciarono a farsi frequenti - spiegano - ed Elisabetta, credo tra aprile e maggio, venne in negozio più volte: da sola, con la scorta e la bimba, con i genitori. Fece una serie di preventivi per una casa. E a quel punto l’azienda cominciò a mettersi in moto per trovare uno spedizioniere disposto a curare un trasporto, delicato e riservato, a Montecarlo. Questo perché c’erano da mandare su non solo i mobili da comprare, ma anche materiali, come maioliche e altro, a quanto si diceva destinati a una ristrutturazione della casa da arredare». Le telefonate per trovare un trasportatore furono «diverse», raccontano i due ex impiegati del centro arredi, che rimarcano come «si parlava apertamente di una casa di Tulliani a Montecarlo, non era un segreto di Stato, lì in azienda».

E poi? «Un bel giorno, forse un sabato - continuano - su una Smart nera arriva lui. Gianfranco Fini, in jeans e giubbotto avion, insieme a Elisabetta». Non passa inosservato. «Ovviamente c’è chi gli ha chiesto l’autografo, chi voleva stringergli la mano», spiegano i due ex dipendenti. In quell’occasione il presidente della Camera e la compagna «parlarono con la proprietaria», raccontano, «ma poi uno degli arredatori che collaboravano col negozio fece, per loro, il progetto di una cucina, tra l’altro mi sembra che Fini nell’occasione gli autografò anche un libro, e di certo si è parlato abbastanza apertamente del fatto che quella cucina doveva andare fuori, doveva andare nella residenza all’estero, quella dei preventivi di cui abbiamo detto». «Per tutti - proseguono - la percezione era che questi mobili, questi lavori erano per casa loro, e che questa casa era all’estero. Tant’è che le richieste, le telefonate per la spedizione, venivano apertamente motivate per “la casa di Fini a Montecarlo”. Va detto che Fini non ha mai comprato nulla direttamente, cioè, fatture e conferme d’ordine erano tutte a nome Tulliani».

Ci fu anche un problema, «un attrito», raccontano i due, «relativo al prezzo degli elettrodomestici per la cucina, prezzo che non andava bene alla coppia, e ci fu un rallentamento della trattativa». Dopo quella visita, tornò un po’ di volte la Tulliani da sola, per la progettazione di altri ambienti. «Veniva con le piantine, e un paio di volte con un tipo che forse era il suo architetto personale», spiegano ancora gli ex dipendenti.

E Fini? «Tornò anche lui, io almeno l’ho visto un’altra volta», spiega uno dei due. «Anche io mi ricordo bene una seconda visita, ma credo sia venuto anche in altre occasioni», conferma l’altro: «Quella che ricordo io penso sia stata nel giorno in cui discussero con la proprietaria la chiusura della trattativa, l’acquisto, insomma». Sul periodo della seconda visita i due testimoni oculari non sono del tutto concordi. Per il primo era «estate-autunno», per il secondo «ottobre-novembre», sempre nel 2009. «Di certo ricordiamo bene che le telefonate agli spedizionieri erano di questo tenore: “C’è da fare una spedizione molto delicata a Montecarlo per la terza carica dello Stato”».

Il problema era sentito, tanto che, raccontano i due, «spesso anche agli autisti di Tir di grandi aziende, con cui c’era rapporto di fiducia, venivano fatte interviste per sapere se erano disponibili a fare quel trasporto». A Montecarlo? «Sicuramente all’estero. Senza dubbi. Ma in azienda tutti parlavano di Montecarlo. Onestamente non era un segreto, e se lo era lo sapevamo in tanti, comunque. Per capirci, bisognava trovare anche delle squadre di montaggio esperte, non solo portare i mobili. Perché per esempio ci risulta che montando la cucina, rispetto al progetto, emersero delle piccole difformità», rivelano i due ex dipendenti del negozio. Che ricordano come non fu solo la cucina a viaggiare, insieme ai materiali per la ristrutturazione: «Comprarono altri mobili. Certamente delle porte scorrevoli, molto costose e particolari, fatte su misura». E Giancarlo Tulliani? «Mai visto», rispondono in coro. Sorpresa.

Il disappunto, invece, può attendere.

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