da Roma
Lo aveva detto sin dall'inizio che non sarebbe andato al Quirinale, ritenendola una cosa perfettamente inutile. E alla fine così ha fatto. Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, e con lui quasi tutta l'Udc, si è dissociato dall'iniziativa berlusconian-finian-bossiana di andare dal capo dello Stato. Questo nonostante da parte di Berlusconi, nel corso dell'ultima settimana, ci sia stato il tentativo e forse la speranza di riuscire a «recuperare Pier», l'illusione che alla fine «il figliol prodigo» sarebbe veramente rientrato a casa. Ma, appunto, era solo un'illusione. E così, mentre ieri la squadra dei quattro moschettieri della Cdl (Berlusconi, Fini, Bossi e Rotondi), si accingeva ad andare da Napolitano, Casini e i suoi si tenevano a debita distanza. «Vogliono fare questa gita al Colle? Facciano pure. Sarò con loro con il pensiero ma certamente non con le opere», ha ripetuto ai suoi l'ex presidente della Camera anche ieri mattina.
La linea dettata dal partito di via dei Due Macelli rispetto all'interrogativo amletico «andare o non andare» da Napolitano è stata chiara fin dall'inizio. I centristi sono per fare opposizione nelle aule parlamentari e non nelle piazze; ritengono, inoltre, che serva un dialogo con i settori moderati del centrosinistra «per convincerli che la stagione di Prodi va chiusa e ne va aperta una di transizione» guidata da un governo di responsabilità nazionale. E ieri Casini e i suoi, partecipando ai vari impegni istituzionali di routine, ogni tanto lanciavano qualche precisazione, con tanto di stilettata, a difesa della loro scelta. A cominciare dal segretario Udc, Lorenzo Cesa, secondo il quale, accodandosi alle parole del suo leader, andare al Colle era inutile, perché «finché c'è una maggioranza parlamentare, il capo dello Stato non può intervenire e non deve quindi essere chiamato in causa. Prodi cade non con le spallate - ha ribadito Cesa - ma con un'azione incisiva nelle Aule parlamentari». Secondo il segretario Udc, inoltre, c'è un altro aspetto, forse altrettanto importante, che «gli alleati del centrodestra» dovrebbero tenere in considerazione. «Le troppe assenze al Senato nei banchi di Alleanza nazionale e Forza Italia hanno impedito di battere il centrosinistra. Meglio - e qui laffondo di Cesa - che gli alleati del centrodestra riflettano su questo, piuttosto che inseguire sogni impossibili». Al leghista Roberto Maroni, che in mattinata, intervenendo a una trasmissione radiofonica, ribadiva che Bossi sarebbe andato da Napolitano con in testa l'imperativo «chiedere elezioni subito», Cesa, con un filo di sarcasmo, ha replicato che «chi sa un po di diritto costituzionale è consapevole del fatto che il presidente della Repubblica non può fare nulla». Tornando a Casini, il leader Udc era a conoscenza che allinterno del suo partito cera qualcuno (Carlo Giovanardi e una manciata di altri parlamentari) che voleva seguire la linea del Cavaliere. Ma, in nome dellantica legge del più forte, lex presidente della Camera sapeva anche che si trattava di «una minoranza», rispetto a una maggioranza che invece la pensava come lui.
Allo scoccar dellora X della salita al Colle, nelle stanze centriste, buttando (senza farsene accorgere) un occhio e un orecchio alla squadra dei moschettieri, cera un curioso mormorio tutto incentrato su un «abbiamo fatto la cosa più giusta». Per chi non avesse capito lo spirito della scelta di Casini, lui, in serata, sgombra il campo da ogni dubbio: «Nessuna polemica con gli amici dellopposizione. Semplicemente io ho seguito una strada diversa e spero sia egualmente produttiva».
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