Il caso Cattelan sta diventando una puntata di «Zelig»

È nata male, finirà peggio. Anche se naturalmente ne parleranno tutti, secondo quella sperimentata strategia di marketing che ha creato e continua ad alimentare il fenomeno-Cattelan.
È dalla primavera scorsa, quando fu annunciata, che la mostra milanese dell’artista italiano più quotato nel mondo è al centro di una tempesta mediatica fatta di annunci, smentite, polemiche, cambi di programma, scontri politici e battaglie morali. Alla fine l’accordo tra Cattelan, il Comune di Milano, il sindaco, l’assessore alla Cultura, i vertici della la Curia e quelli della Borsa è stato trovato. Ma più che altro si tratta di un imbarazzante compromesso, dal quale tutti, a partire dal «sindaco di ferro» e dall’artista «ribelle», ne escono abbondantemente ridimensionati. Ma tant’è. L’evento ci sarà, ma più che una retrospettiva quella che si apre il 24 settembre è una mostriciattola: a Palazzo Reale sono solo tre le opere esposte, solo per un mese e con orario ridotto; mentre la celebre mano con il dito medio alzato rimarrà esposta in Piazza Affari appena dieci giorni.
Già così sembrava una farsa. Ma ora sembra di assistere a uno spettacolo di Zelig. Ieri il Comune di Milano ha bloccato l’affissione dei manifesti che avrebbero dovuto pubblicizzare la mostra sui muri della città: l’immagine dell’opera di Cattelan rappresentante un Hitler inginocchiato (un “pezzo” che peraltro neppure sarà esposto) è considerata offensiva. La comunità ebraica ha già avanzato ufficiale protesta. E lo stesso assessore alla Cultura, Massimiliano Finazzer Flory, ha riconosciuto le perplessità sollevate da una parte dell’opinione pubblica, confermando che i poster non saranno affissi, pur trovando «infelice» la contrapposizione tra valutazione etica ed estetica.
Sembra una commedia di Feydeau. Uno che entra, uno che esce, tutti che recitano una battuta. Maurizio Cadeo, assessore all’Arredo Urbano, fa notare che: «La libertà espressiva non può offendere la sensibilità delle persone». Oliviero Toscani, altro genio della comunicazione, ha detto invece che se fosse Cattelan a questo punto non farebbe più la mostra: «Non ci si può fare condizionare da quattro imbecilli messi là dalla tessera di partito o dall’ignoranza di chi amministra». E a proposito dei manifesti hitleriani ritenuti offensivi del decoro: «Ma decoro di cosa? - ha commentato - L’arte deve offendere il decoro. Se non offende il decoro non è arte». Conclusione: «Milano è ridicola, e chi fa una censura di questo tipo un imbecille».

Mentre Vittorio Sgarbi - uno che sa bene quanto sia difficile lavorare con la Moratti - ha consigliato a Cattelan di rinunciare alla mostra milanese invitandolo a esporre invece alla prossima Biennale di Venezia, di cui il critico è curatore del padiglione Italia: «O un artista è libero di esprimersi - ha detto Sgarbi - o è un impiegato». Un insulto che a Cattelan finora non aveva mai rivolto nessuno.
Il guaio è che da qui all’inaugurazione è ancora lunga.

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