di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Punta sull’ufficio del pm Pino Scelsi, il titolare
delle indagini sul caso Tarantini- D’Addario, la pista degli
inquirenti sulla fuga di notizie che a fine estate 2009 «accolse» a
Bari l’arrivo del nuovo procuratore capo, Antonio Laudati. Lo stesso
con il quale proprio Scelsi è entrato anche recentemente in attrito:
oggetto del contendere proprio quelle indagini sul re delle protesi
pugliese e la escort famosa per le due serate a Palazzo Grazioli.
Divergenze di vedute sulla conduzione e la velocità dell’inchiesta, che
si sarebbero concretizzate in uno scambio epistolare al vetriolo.
Ma tornando alla fuga di notizie, che vide spiattellate sul Corriere della Sera ,
a settembre 2009, due paginate «bipartisan » di verbali di Tarantini
(sulle escort a Palazzo Grazioli e sulle tangenti sessuali per il vice
di Vendola, Sandro Frisullo), la caccia alla talpa è stata da subito
una priorità per Laudati, che s’era legato al dito quello sgarbo nel
giorno dell’insediamento. Il caso sembrava chiuso fino a qualche giorno fa nel modo migliore
per gli uffici giudiziari, con l’arresto ai domiciliari di un ex
consulente della procura, Andrea Morrone, poi assunto come
collaboratore alla redazione di Lecce del Corriere .
Una soluzione che «scongiurava» il timore di un coinvolgimento
diretto di organi inquirenti. Secondo l’accusa, infatti, Morrone
avrebbe ottenuto quei documenti collegandosi in remoto al pc di Scelsi,
grazie alla vulnerabilità della rete informatica della procura, e li
avrebbe poi passati a una giornalista. Giallo risolto? Macché. Pochi
giorni fa il gip Sergio Di Paola, lo stesso che ne aveva firmato l’ordinanza d’arresto, ha scarcerato Morrone.
Decisive le dichiarazioni dell’indagato,
convincenti le perizie tecniche di parte, che ricalcano quanto già
emerso nella prima consulenza del pm sugli accessi abusivi al sistema
informatico. L’altra anomalia dell’indagine sulla talpa è appunto
l’esistenza di perizie multiple. La prima non incastrava Morrone,
dimostrando che non era in possesso della password personale del pm. A
marzo 2010, sei mesi dopo, una seconda perizia stavolta incardina
l’accesso «pirata» nella stanza a cui Morrone aveva accesso. Il gip
smonta tutto. Morrone non aveva la password. E il giorno del «furto»,
il 4 agosto 2009, non c’è stato «accesso alla rete del dominio da parte
del personal computer del pm», Scelsi. Un «elemento - scrive ancora
il gip che collide con l’ipotesi che in quella data attraverso la rete
possa essere stato effettuato un accesso “da remoto” al medesimo
personal computer».
Insomma, è vero che l’indagato quel giorno era in
procura. È vero che ha parlato più volte al telefono con la giornalista
coautrice dei pezzi sui verbali «fuggiti », ma il quadro indiziario
ormai «non è dotato del necessario requisito di gravità ». E così,
Morrone torna libero. Ma allora la talpa chi è? Il gip un’indicazione
piuttosto esplicita la fornisce. «La sola possibilità è che l’accesso
in condivisione sia stato effettuato localmente (quindi sul pc di
Scelsi, non collegandosi alla rete della procura da un altro pc, ndr ),
mutando così completamente lo scenario dell’operazione eseguita e della
sua riferibilità al soggetto che la operò in quel giorno». Insomma,
la circostanza, per il gip, «impone la verifica relativa alla
individuazione dei soggetti in grado di avere accesso fisicamente al
computer del pm titolare delle indagini ». Il boomerang rischia di
coinvolgere Scelsi stesso e i suoi più stretti collaboratori. E il
coinvolgimento anche solo ipotetico di un pm barese porterebbe gli atti
alla procura di Lecce, competente a indagare sui colleghi di Bari. A
chi potrebbe ipotizzare una sorta di «vendetta » di Laudati nei
confronti del pm a lui ribelle (il capo della procura gli affiancò due
colleghi per lavorare in pool) si può obiettare che, a chiedere
l’arresto di Morrone, è stato Laudati.
Ma i veleni baresi non sono finiti. Resta incerto il destino per il delicato materiale d’indagine raccolto nell’inchiesta sulla malasanità pugliese. Materiale in parte già pubblicato. Come i nastri audio che la D’Addario aveva registrato a Palazzo Grazioli e che Scelsi chiuse in cassaforte «per evitare fughe di notizie ». Inutilmente. Il Fatto quotidiano finiranno sui giornali una volta chiusa l’inchiesta: «Imbarazzando certamente il premier, ma anche chi ha mantenuto la sordina allo scandalo per due anni». Nel fascicolo ci sarebbero anche chilometriche intercettazioni, che per
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