Pier Augusto Stagi
Dal polverone spagnolo dellOperacion Puerto sbuca il nome di Mario Cipollini. Anzi, no, quello di Pavarotti, nome in codice dietro al quale, secondo gli inquirenti spagnoli, si celerebbe la figura del Re Leone delle volate. Questo è quanto trapela dalla Spagna, rilanciato ieri da La Repubblica. Il campione casca dalle nuvole: «Sono sbalordito. È assurdo che sia stato fatto il mio nome in una vicenda che mi vede del tutto estraneo. Mi riservo, tramite i miei legali, di intraprendere tutte le azioni atte a tutelare la mia immagine». Quanto ai fatti siamo ai si dice e ai nomi in codice: non cè, al momento, altro. Nei documenti sequestrati a Fuentes il nome Pavarotti figura in particolare evidenza nella stagione 2002. Magica per il toscano: 14 vittorie, fra cui Milano-Sanremo, Gand-Wevelgem, sei tappe al Giro, tre alla Vuelta e il Mondiale di Zolder a suggellare una stagione indimenticabile che adesso gli vogliono macchiare.
Dalla Spagna si guardano bene dal fornire elementi per fare chiarezza, dalla Svizzera lUci tace. È da Strasburgo, sede del via dellultima edizione del Tour de France, finita con la positività del vincitore Floyd Landis, che il governo della bicicletta latita, anziché opporsi e porsi come arbitro. La storia è nota: dalla Spagna arriva il dossier redatto dalla Guardia Civil. Gli organizzatori del Tour visionano il malloppo, prendono nota dei corridori sospettati solo sospettati - di avere avuto a che fare con Eufemiano Fuentes, il medico che è al centro della vicenda di emodoping, e chiede alle singole squadre, quelle con un corridore indicato nel dossier, di escluderli dalla corsa in via precauzionale. Le squadre di Pro Tour, temendo ritorsioni, impugnano un codice etico voluto e firmato da loro stesse, ma mai ratificato dallUci, e spediscono a casa i corridori senza uno straccio di prova. Insomma, a Strasburgo viene calpestato un principio fondamentale della giustizia: tutti sono innocenti, fino a prova contraria. Il ciclismo esce formalmente dalla legalità.
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