Inizia oggi l’inchiesta del Giornale sul Fondo unico per lo spettacolo (Fus) e sul rapporto tra cultura e finanziamento pubblico.
È qualche mese che a proposito del Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) se ne sentono e vedono di tutti i colori. Da quando è stato ridotto a 258 milioni di euro per il 2011 (l’anno prima era a 402 milioni, dieci anni fa, nel 2001, a 530 milioni) c’è stato chi ha paventato la completa bancarotta culturale del Belpaese, chi l’impossibilità di mettere in cantiere la prossima edizione della Biennale del Cinema a Venezia, chi la chiusura, tout court, della Scala. Una certa crème della cinematografia nostrana- da Riccardo Scamarcio a Isabella Ferrari, passando per Paolo Sorrentino - si è raccolta intorno alla Fontana di Trevi una fredda sera dello scorso novembre per protestare in diretta televisiva contro i tagli, mentre il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi guardava sconsolato dallo studio di Annozero. Sotto Natale, una manovra di reintegro agganciata al decreto «mille proroghe»per riportare il Fus a 400 milioni è stata stralciata, generando una nuova ondata di sgomento. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha smentire l’esistenza di un contributo speciale di un euro su ogni biglietto di ingresso nelle sale cinematografiche. Alcuni sperano ancora in un emendamento durante l’iter per convertire il decreto in legge, altri vorrebbero lasciare le cose come stanno. Chi ha ragione? Per rispondere alla domanda potrebbe essere utile dare un’occhiata a documenti pubblici o ad uso interno del Ministero relativi all’anno appena trascorso. Un protocollo firmato dallo stesso Bondi, datato 4 marzo 2010 e vidimato dalla Corte dei Conti, ci dice che dei 409 milioni disponibili per il 2010 (poi tagliati a 402 per «aiutare» la Grecia in crisi) quasi la metà, il 47,5 per cento, è destinato agli enti lirici, il 18,5 alle attività cinematografiche, il 16,2 per cento alle teatrali di prosa, il 13,7 alle musicali, il 2,2 alle attività di danza, l’1,5 a quelle circensi. All’Osservatorio per lo spettacolo va poi lo 0,1 delle risorse, mentre le spese di funzionamento delle varie Commissioni assorbono lo 0,03 per cento. Si tratta di percentuali che si sono consolidate negli anni, nel senso che non cambiano granché aseconda che la cifra stanziata sia di 258 milioni oppure il doppio o il triplo. Questo suggerisce già qualcosa: che a protestare sono sempre gli stessi. Lo si capisce traducendo in euro sonanti le percentuali riportate dal documento: le fondazioni lirico sinfoniche erano destinatarie per il 2010 di 194 milioni di euro, il cinema incamerava 75 milioni, i teatri di prosa 66, le attività musicali 56. Con largo stacco seguivano danza (9 milioni), circo (6 milioni) e spese di mantenimento della struttura del Fus. Il taglio per la Grecia non ha stravolto la costellazione dei beneficiari, ha soltanto ritoccato le cifre ( di qualche decimale) verso il basso, perché alla fine, dei 409 previsti, sono stati comunque distribuiti ben 402.486.267 euro. Riuscirà l’Italia dello spettacolo a sopravvivere con i 258 milioni del prossimo anno?C’è chi dice sì.Più che i numeri, infatti, le proteste degli ultimi mesi riguardano uno status quo che pochi vogliono smantellare. Prendiamo un esempio saliente di utilizzo del Fus: il cinema. Nel 2010 ha ricevuto 75 milioni di euro, a cui vanno aggiunte, sia detto tra parentesi ma non troppo, le agevolazioni fiscali operative da metà del 2009 ( e valide fino a giugno di quest’anno). Il «giro» di queste agevolazioni non è una cifra piccola: almeno 50 milioni di euro certificati (ma esiste una ragionevole stima che siano 90), e il bello è che arrivano automaticamente. Se un produttore spende 100 euro per fare il suo film, il 15 per cento gli ritorna indietro come credito di imposta compensabile con tutti i tipi di contributi che si versano con il modello F24. Ma restiamo ai 75 milioni ricevuti dal cinema l’anno scorso: come sono stati spesi? Al Centro sperimentale di cinematografia sono andati 10,5 milioni, a Cinecittà 12, mentre 7,5 milioni sono serviti per sovvenzionare «iniziative di cultura cinematografica» (festival e rassegne, anche all’estero), alla Biennale Cinema di Venezia ne sono invece andati 7.Le sale d’essai sono state sostenute con 2,5 milioni di euro, mentre 4,5 sono stati spesi come contributo percentuale sugli incassi (destinato ai film nazionali ammessi ai benefici di legge, anche questo è un aiuto automatico e lo hanno beccato, tra le polemiche, persino i cinepanettoni). I restanti 31 milioni sono serviti alla produzione di autori affermati (17 milioni), di opere prime e seconde (10 milioni) e per sostenere la produzione di documentari e di cortometraggi, nonché per i contributi in conto interesse agli esercenti, ad esempio per ristrutturare o ammodernare le sale di proiezione. Per queste ultime finalità sono state utilizzate anche risorse giacenti. Si potrebbe supporre che passare da 75 del 2010 ai probabili 46 milioni del 2011 imporrà scelte dolorose alla nostra settima arte, fino a relegarla nell’angolo rispetto a nazioni che investono persino esageratamente in essa, come facevamo noi prima del cambio di rotta. Dal 1994 al 2004, infatti, le opere di nostri autori affermati hanno ricevuto complessivamente l’enorme cifra di 600 milioni di euro. Spesso il contributo copriva il 70 per cento del costo di produzione (nel 2009 ha coperto solo il 12 per cento). Ma ecco la novità: una stima conclusasi due settimane orsono ha rilevato che dal 1994 al 2004 l’incasso al botteghino dei nostri film finanziati dallo Stato ammonta al 10 per cento dell’importo ricevuto. In pratica, nel decennio in cui il nostro cinema veniva finanziato a man bassa con 600 milioni di euro, ecco che dai biglietti venduti ne rientravano solo 60. D’accordo, altri introiti potrebbero essere arrivati dagli home video, dalle Tv a pagamento e quant’altro, ma l’incasso al botteghino dà l’idea di come quell’immensa produzione abbia avuto un impatto nullo o quasi in termini di pubblico. Si può scorrere l’elenco delle centinaia di film finanziati in quegli anni con cifre a sei zeri e che poi hanno incassato pochissimo al botteghino. Da Rosa Funzeca di Aurelio Grimaldi (2001, finanziato con 1,5 milioni, incasso 71mila) a Il trasformista di Luca Barbareschi (2002, finanziato con 1,7 milioni di euro, incasso 70mila) è quasi tutto una perdita. C’è poi un’altra novità: oggi che il contributo dello Stato ha l’obbligo di non superare il 50 per cento del costo di un film - il resto lo si deve reperire altrove- il nostro cinema ha acquisito una quota di mercato interno del 30 per cento (più di quella del cinema francese; nel 2005 eravamo al 24,7%, nel 2000 al 15%).
Se nel «vecchio» sistema, dove nascevano addirittura società finalizzate ad accaparrarsi la propria fetta di Fus, parecchi si arricchivano o campavano molto bene ma pochissimi spettatori vedevano alla fine il film (sempre che venisse girato), ecco che il nuovo corso del Fus permette paradossalmente, cifre alla mano, di produrre film che raccolgono più pubblico. Si vede che a qualcuno dà fastidio.1. Fine prima puntata. Continua domani
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.